Iurisconsulti negant quicquam publicum usu capi Aut ego te non novi aut Aetna tibi salivam movet; iam cupis grande aliquid et par prioribus scribere Plus enim sperare modestia tibi tua non permittit, quae tanta in te est ut videaris mihi retracturus ingenii tui vires, si vincendi periculum sit: tanta tibi priorum reverentia est Inter cetera hoc habet boni sapientia: nemo ab altero potest vinci nisi dum ascenditur Cum ad summum perveneris, paria sunt; non est incremento locus, statur Numquid sol magnitudini suae adicit numquid ultra quam solet luna procedit Maria non crescunt; mundus eundem habitum ac modum servat Extollere se quae iustam magnitudinem implevere non possunt: quicumque fuerint sapientes, pares erunt et aequales |
7 O io non ti conosco o l'Etna ti fa venire l'acquolina in bocca; e già desideri scrivere qualcosa di grande e allo stesso livello delle opere precedenti La tua modestia non ti fa sperare di più: è tale che, secondo me, saresti pronto a trattenere le forze del tuo ingegno se ci fosse pericolo di superare gli altri: tanto è il rispetto che nutri per gli scrittori precedenti La saggezza ha, oltre al resto, anche questo di buono: uno può superare un altro solo durante la salita Arrivati in cima, si è tutti uguali; non c'è possibilità di avanzare, si sta fermi Il sole aumenta forse la sua grandezza E la luna percorre un'orbita più lunga di quella solita I mari non crescono; l'universo conserva sempre lo stesso aspetto e la stessa estensione Le cose che hanno raggiunto le dovute dimensioni non possono ingrandirsi: tutti coloro che raggiungeranno la saggezza saranno uguali e alla pari |
Habebit unusquisque ex iis proprias dotes: alius erit affabilior, alius expeditior, alius promptior in eloquendo, alius facundior: illud de quo agitur, quod beatum facit, aequalest in omnibus An Aetna tua possit sublabi et in se ruere, an hoc excelsum cacumen et conspicuum per vasti maris spatia detrahat adsidua vis ignium, nescio: virtutem non flamma, non ruina inferius adducet; haec una maiestas deprimi nescit Nec proferri ultra nec referri potest; sic huius, ut caelestium, stata magnitudo est Ad hanc nos conemur educere Iam multum operis effecti est; immo, si verum fateri volo, non multum Nec enim bonitas est pessimis esse meliorem: quis oculis glorietur qui suspicetur diem Cui sol per caliginem splendet, licet contentus interim sit effugisse tenebras, adhuc non fruitur bono lucis |
Ciascuno di loro avrà doti sue proprie: uno sarà più affabile, uno più pronto, uno più spedito nel parlare, uno più eloquente: la virtù, di cui si discute e che rende felici, è uguale in tutti Non so se il tuo Etna possa crollare e precipitare su se stesso o se l'azione violenta e continua del fuoco possa corrodere questa alta vetta, visibile su un largo tratto di mare: ma né le fiamme, né un crollo possono trascinare in basso la virtù; è l'unica dignità che non conosce diminuzioni Non può avanzare e nemmeno indietreggiare; la sua grandezza è fissa come quella dei corpi celesti Cerchiamo di innalzarci fino a essa Si è fatto già molto; anzi, a dire il vero, non molto La bontà non consiste nell'essere migliori dei peggiori: chi potrebbe vantarsi della propria vista, se scorge appena la luce del giorno Se uno vede splendere il sole attraverso una fitta nebbia, benché sia lieto di essere per il momento sfuggito alle tenebre, non gode ancora del bene della luce |
Tunc animus noster habebit quod gratuletur sibi cum emissus his tenebris in quibus volutatur non tenui visu clara prospexerit, sed totum diem admiserit et redditus caelo suo fuerit, cum receperit locum quem occupavit sorte nascendi Sursum illum vocant initia sua; erit autem illic etiam antequam hac custodia exsolvatur, cum vitia disiecerit purusque ac levis in cogitationes divinas emicuerit Hoc nos agere, Lucili carissime, in hoc ire impetu toto, licet pauci sciant, licet nemo, iuvat Gloria umbra virtutis est: etiam invitam comitabitur Sed quemadmodum aliquando umbra antecedit, aliquando sequitur vel a tergo est, ita gloria aliquando ante nos est visendamque se praebet, aliquando in averso est maiorque quo serior, ubi invidia secessit Quamdiu videbatur furere Democritus Vix recepit Socraten fama |
Allora l'anima nostra potrà congratularsi con se stessa quando, uscita dalle tenebre in cui è avvolta, scorgerà la luce, non con vista debole, ma accoglierà tutto lo splendore del giorno e sarà restituita al suo cielo, quando riprenderà il posto assegnatole dalla sorte al momento della nascita Le sue origini la chiamano in alto e ci arriverà anche prima di liberarsi dalla prigionia del corpo, se disperderà i vizi, e pura e leggera si innalzerà a pensieri divini bello, mio carissimo Lucilio, perseguire questo scopo, e tendervi con tutto il nostro slancio, anche se pochi, o nessuno, sono in grado di farlo La gloria è l'ombra della virtù: la seguirà anche contro il suo volere Ma come l'ombra a volte precede, a volte segue, oppure è alle spalle, così certe volte la gloria è davanti a noi, visibile, certe altre è dietro ed è più grande quanto più tardi arriva, una volta scomparsa l'invidia Per quanto tempo Democrito fu considerato pazzo A fatica Socrate divenne famoso |
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Quamdiu Catonem civitas ignoravit respuit nec intellexit nisi cum perdidit Rutili innocentia ac virtus lateret, nisi accepisset iniuriam: dum violatur, effulsit Numquid non sorti suae gratias egit et exilium suum complexus est De his loquor quos inlustravit fortuna dum vexat: quam multorum profectus in notitiam evasere post ipsos quam multos fama non excepit sed eruit Vides Epicurum quantopere non tantum eruditiores sed haec quoque inperitorum turba miretur: hic ignotus ipsis Athenis fuit, circa quas delituerat Multis itaque iam annis Metrodoro suo superstes in quadam epistula, cum amicitiam suam et Metrodori grata commemoratione cecinisset, hoc novissime adiecit, nihil sibi et Metrodoro inter bona tanta nocuisse quod ipsos illa nobilis Graecia non ignotos solum habuisset sed paene inauditos |
Per quanto tempo i concittadini ignorarono Catone Lo respinsero e ne compresero il valore solo dopo la sua morte L'integrità e la virtù di Rutilio non sarebbero emerse se non avessero subìto un'ingiustizia: l'oltraggio le fece risplendere Non fu forse grato alla sua sorte e non accettò volentieri l'esilio Parlo di uomini che la fortuna ha reso celebri mentre ne subivano le angherie: ma di quanti vennero alla luce i meriti solo dopo la morte Quanti la fama non accolse subito, ma li trasse poi fuori dall'oblio Vedi quanto è ammirato Epicuro non solo dai più dotti, ma anche dalla massa degli ignoranti: Eppure egli che viveva in disparte nei dintorni di Atene, in Atene stessa era sconosciuto Molti anni dopo che Metrodoro era morto, celebrò in una lettera con un ricordo grato la sua amicizia con lui; alla fine aggiunse che, fra i tanti beni di cui avevano goduto, né per sé, né per Metrodoro era stato un danno che la celebre Grecia non solo non li avesse conosciuti, ma quasi non li avesse sentiti nominare |
Numquid ergo non postea quam esse desierat inventus est numquid non opinio eius enituit Hoc Metrodorus quoque in quadam epistula confitetur, se et Epicurum non satis enotuisse; sed post se et Epicurum magnum paratumque nomen habituros qui voluissent per eadem ire vestigia Nulla virtus latet, et latuisse non ipsius est damnum: veniet qui conditam et saeculi sui malignitate conpressam dies publicet Paucis natus est qui populum aetatis suae cogitat Multa annorum milia, multa populorum supervenient: ad illa respice Etiam si omnibus tecum viventibus silentium livor indixerit, venient qui sine offensa, sine gratia iudicent Si quod est pretium virtutis ex fama, nec hoc interit Ad nos quidem nihil pertinebit posterorum sermo; tamen etiam non sentientes colet ac frequentabit |
Non fu scoperto forse dopo la sua morte Non rifulse la sua fama Anche Metrodoro in una lettera confessa che lui ed Epicuro non erano abbastanza noti, ma che dopo di loro avrebbero ottenuto grande e immediata fama gli uomini che avessero voluto calcare le loro stesse orme La virtù non rimane mai sconosciuta e l'essere stata sconosciuta non la danneggia: verrà il giorno che la riporterà alla luce dalle tenebre in cui era stata seppellita e compressa dall'invidia dei contemporanei Chi si dà pensiero degli uomini del suo tempo, è nato per pochi Seguiranno migliaia di anni, migliaia di generazioni: guarda a loro Anche se l'invidia ridurrà al silenzio tutti i tuoi contemporanei, verranno i posteri a giudicarti senza risentimenti o compiacenze Se dalla fama deriva un premio alla virtù, neppure questo andrà perduto Non ci toccherà quello che i posteri diranno di noi; tuttavia ci onoreranno e ci celebreranno anche se non potremo sentirli |
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Nulli non virtus et vivo et mortuo rettulit gratiam, si modo illam bona secutus est fide, si se non exornavit et pinxit, sed idem fuit sive ex denuntiato videbatur sive inparatus ac subito Nihil simulatio proficit; paucis inponit leviter extrinsecus inducta facies: veritas in omnem partem sui eadem est Quae decipiunt nihil habent solidi Tenue est mendacium: perlucet si diligenter inspexeris Vale Hodierno die non tantum meo beneficio mihi vaco sed spectaculi, quod omnes molestos ad sphaeromachian avocavit Nemo inrumpet, nemo cogitationem meam inpediet, quae hac ipsa fiducia procedit audacius Non crepabit subinde ostium, non adlevabitur velum: licebit tuto vadere, quod magis necessarium est per se eunti et suam sequenti viam Non ergo sequor priores |
La virtù ricompensa tutti o da vivi o da morti, purché la seguiamo con lealtà, senza fregiarcene o adornarcene, ma rimanendo sempre gli stessi, sia che sappiamo di essere visti, sia che veniamo colti di sorpresa, impreparati Fingere non serve; una maschera superficiale può ingannare solo pochi: la verità è uguale in ogni sua parte L'inganno non ha solide basi La menzogna è uno schermo sottile: se guardi con attenzione, è trasparente Stammi bene Oggi sono libero: non tanto per merito mio, ma di uno spettacolo di pugilato che ha fatto da richiamo a tutti gli scocciatori Nessuno farà irruzione a casa mia, nessuno verrà a interrompere le mie riflessioni, che, proprio fidando in questo, procedono più ardite La porta non cigolerà improvvisamente, nessuno alzerà la tenda della mia stanza: potrò procedere in tutta tranquillità, e questo è necessario soprattutto per chi cammina da solo e percorre una sua strada Non seguo, dunque, le orme dei miei predecessori |
facio, sed permitto mihi et invenire aliquid et mutare et relinquere; non servio illis, sed assentior Magnum tamen verbum dixi, qui mihi silentium promittebam et sine interpellatore secretum: ecce ingens clamor ex stadio perfertur et me non excutit mihi, sed in huius ipsius rei contemplationem transfert Cogito mecum quam multi corpora exerceant, ingenia quam pauci; quantus ad spectaculum non fidele et lusorium fiat concursus, quanta sit circa artes bonas solitudo; quam inbecilli animo sint quorum lacertos umerosque miramur Illud maxime revolvo mecum: si corpus perduci exercitatione ad hanc patientiam potest qua et pugnos pariter et calces non unius hominis ferat, qua solem ardentissimum in ferventissimo pulvere sustinens aliquis et sanguine suo madens diem ducat, quanto facilius animus conroborari possit ut fortunae ictus invictus excipiat, ut proiectus, ut conculcatus exsurgat |
Sì, ma mi permetto di trovare, di cambiare, di tralasciare qualcosa; condivido le loro idee, senza, però esserne schiavo Ho parlato troppo, tuttavia, quando mi ripromettevo silenzio e solitudine senza scocciatori: ecco, alte grida arrivano dallo stadio: non mi distolgono dai miei pensieri, ma mi portano a esaminare proprio questo fatto Penso tra me e me quanti sono gli uomini che esercitano il corpo e quanto pochi quelli che esercitano la mente; quanta gente accorre a un passatempo inconsistente e vano, e che deserto intorno alle scienze; che animo debole hanno quegli atleti di cui ammiriamo i muscoli e le spalle E soprattutto penso a questo: se con l'esercizio il corpo può arrivare a sopportare pugni e calci, e non di un uomo solo, se un individuo può passare un giorno intero sotto un sole a picco nella polvere rovente, perdendo sangue, quanto sarebbe più facile rinforzare l'animo in modo che riceva senza piegarsi i colpi della fortuna, che si risollevi anche atterrato e calpestato |
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Corpus enim multis eget rebus ut valeat: animus ex se crescit, se ipse alit, se exercet Illis multo cibo, multa potione opus est, multo oleo, longa denique opera: tibi continget virtus sine apparatu, sine inpensa Quidquid facere te potest bonum tecum est Quid tibi opus est ut sis bonus velle Quid autem melius potes velle quam eripere te huic servituti quae omnes premit, quam mancipia quoque condicionis extremae et in his sordibus nata omni modo exuere conantur Peculium suum, quod comparaverunt ventre fraudato, pro capite numerant: tu non concupisces quanticumque ad libertatem pervenire, qui te in illa putas natum Quid ad arcam tuam respicis emi non potest Itaque in tabellas vanum coicitur nomen libertatis, quam nec qui emerunt habent nec qui vendiderunt: tibi des oportet istud bonum, a te petas |
Il corpo ha bisogno di molte cose per star bene: l'animo cresce da sé, alimenta ed esercita se stesso Gli atleti hanno bisogno di molto cibo, molte bevande, molto olio e, infine, di un lungo esercizio: tu, invece, raggiungerai la virtù senza preparativi, senza spesa Tutto quello che può renderti virtuoso lo hai con te Di che cosa hai bisogno per diventare virtuoso Della volontà Ma che cosa puoi volere di meglio che sottrarti a questa schiavitù che opprime tutti, che persino gli schiavi di infimo stato, nati in questa abiezione, tentano in ogni modo di scuotersi di dosso Loro, per avere la libertà, sborsano quei risparmi che hanno accumulato privandosi del cibo: e tu, che ritieni di essere nato libero, non desidererai raggiungere a ogni costo la libertà Perché guardi la cassaforte La libertà non puoi comprarla Perciò è inutile scrivere sui documenti la parola libertà: non si può comprarla, né venderla: questo bene te lo devi donare tu stesso, devi chiederlo a te stesso |
Libera te primum metu mortis illa nobis iugum inponit, deinde metu paupertatis Si vis scire quam nihil in illa mali sit, compara inter se pauperum et divitum vultus: saepius pauper et fidelius ridet; nulla sollicitudo in alto est; etiam si qua incidit cura, velut nubes levis transit: horum qui felices vocantur hilaritas ficta est aut gravis et suppurata tristitia, eo quidem gravior quia interdum non licet palam esse miseros, sed inter aerumnas cor ipsum exedentes necesse est agere felicem Saepius hoc exemplo mihi utendum est, nec enim ullo efficacius exprimitur hic humanae vitae mimus, qui nobis partes quas male agamus adsignat |
Liberati prima di tutto dalla paura della morte, che ci impone il suo giogo, e poi dalla paura della povertà Nella povertà non c'è niente di male; per rendertene conto confronta tra loro il volto dei poveri e quello dei ricchi: il povero ride più spesso e più di cuore, non ha nessuna preoccupazione nel suo intimo e, anche se gli capita qualche cruccio, passa come una nube leggera: ma l'allegria di quegli uomini che vengono definiti felici è simulata oppure gravata e corrotta da un'intima tristezza, ed è tanto più penosa perché certe volte non possono mostrare apertamente la loro infelicità, ma devono fingersi lieti anche se gli affanni rodono loro il cuore Dovrei servirmi più spesso di questo esempio, perché esprime, più efficacemente di qualsiasi altro, questa farsa della vita umana, dove ci viene assegnata una parte che recitiamo male |
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Ille qui in scaena latus incedit et haec resupinus dicit, en impero Argis; regna mihi liquit Pelops, qua ponto ab Helles atque ab Ionio mari urguetur Isthmos, servus est, quinque modios accipit et quinque denarios Ille qui superbus atque inpotens et fiducia virium tumidus ait, quod nisi quieris, Menelae, hac dextra occides, diurnum accipit, in centunculo dormit Idem de istis licet omnibus dicas quos supra capita hominum supraque turbam delicatos lectica suspendit: omnium istorum personata felicitas est Contemnes illos si despoliaveris Equum empturus solvi iubes stratum, detrahis vestimenta venalibus ne qua vitia corporis lateant: hominem involutum aestimas |
L'attore che avanza impettito sulla scena e a testa alta recita queste battute: Ecco comando su Argo; Pelope mi lasciò in eredità quei luoghi dove l'Istmo è battuto dall'Ellesponto e dal mare Ionio, è uno schiavo, la sua paga è di cinque moggi di farina e cinque denari Quell'altro che superbo e tracotante, fiduciosamente orgoglioso della sua potenza, dice: Se non stai quieto, Menelao, perirai per mia mano, è pagato a giornata e dorme su un pagliericcio Lo stesso si può dire di tutti questi effeminati che in lettiga avanzano sopra una folla di teste: la loro felicità è una commedia Se li spogli, li disprezzerai Quando compri un cavallo vuoi che gli tolgano la gualdrappa: gli schiavi messi in vendita li fai svestire perché non nascondano qualche difetto fisico: e giudichi un uomo tutto paludato |