Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 09-10 Parte 01, pag 4

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 09-10 Parte 01

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 09-10 Parte 01
Tam prope libertas est: et servit aliquis

Ita non sic perire filium tuum malles quam per inertiam senem fieri

Quid ergo est cur perturberis, si mori fortiter etiam puerile est

Puta nolle te sequi: duceris

Fac tui iuris quod alieni est

Non sumes pueri spiritum, ut dicas 'non servio'

Infelix, servis hominibus, servis rebus, servis vitae; nam vita, si moriendi virtus abest, servitus est

Ecquid habes propter quod expectes

voluptates ipsas quae te morantur ac retinent consumpsisti: nulla tibi nova est, nulla non iam odiosa ipsa satietate

Quis sit vini, quis mulsi sapor scis: nihil interest centum per vesicam tuam an mille amphorae transeant: saccus es

Quid sapiat ostreum, quid mullus optime nosti: nihil tibi luxuria tua in futuros annos intactum reservavit
La libertà è così vicina: e c'è chi vive schiavo

Preferiresti che tuo figlio morisse così, o che diventasse vecchio nell'inerzia

Perché dunque turbarti, se anche un fanciullo può morire con coraggio

Metti caso che tu non voglia seguire il destino comune: sarai costretto

Riduci in tuo dominio ciò che dipende da altri

Non imiterai il coraggio di un fanciullo per affermare: No, non sarò un servo

Infelice, sei schiavo degli uomini, delle cose, della vita; anche la vita, se manca il coraggio di morire, è una schiavitù

Hai davvero buoni motivi per aspettare

Anche i piaceri, che ti bloccano e ti trattengono, li hai esauriti: non ce n'è nessuno nuovo per te; nessuno che non ti disgusti ormai per la troppa sazietà

Conosci il sapore del vino puro, del vino col miele, non c'è differenza se per la tua vescica ne passano cento o mille anfore: sei solo un filtro

Conosci benissimo il gusto delle ostriche e delle triglie: la tua mollezza non ti ha lasciato nulla di ignoto da godere per gli anni a venire
Atqui haec sunt a quibus invitus divelleris

Quid est aliud quod tibi eripi doleas

Amicos

Scis enim amicus esse

Patriam

tanti enim illam putas ut tardius cenes

Solem

quem, si posses, extingueres: quid enim umquam fecisti luce dignum

Confitere non curiae te, non fori, non ipsius rerum naturae desiderio tardiorem ad moriendum fieri: invitus relinquis macellum, in quo nihil reliquisti

Mortem times: at quomodo illam media boletatione contemnis

Vivere vis: scis enim

Mori times: quid porro

ista vita non mors est

C Caesar, cum illum transeuntem per Latinam viam unus ex custodiarum agmine demissa usque in pectus vetere barba rogaret mortem, 'nunc enim' inquit 'vivis

' Hoc istis respondendum est quibus succursura mors est: 'mori times: nunc enim vivis
Eppure sono queste le cose da cui ti stacchi a malincuore

C'è dell'altro che ti dispiace se ti viene strappato

Gli amici

Ma sai essere un vero amico

La patria

Ne fai conto tanto da ritardare la cena

Il sole

Ma se potessi, lo spegneresti: C'è qualche tua azione degna della luce

Confessalo: dalla morte non ti trattengono la politica o gli affari o l'amore per la natura: tu lasci malvolentieri un mercato di viveri, in cui non hai lasciato nessun prodotto

Hai paura della morte: eppure come la disprezzi per una mangiata di funghi

Vuoi vivere: ma ne sei capace

Hai paura della morte: perché

Questa esistenza non è morte

Mentre Gaio Cesare passava per la via Latina, uno dei prigionieri, un vecchio con la barba lunga fino al petto, lo supplicò: Fammi uccidere Gli rispose: Perché, adesso tu vivi

Ecco la risposta da dare a quegli individui per i quali la morte sarebbe un rimedio: Hai paura di morire, perché adesso vivi
' 'Sed ego' inquit 'vivere volo, qui multa honeste facio; invitus relinquo officia vitae, quibus fideliter et industrie fungor

' Quid

tu nescis unum esse ex vitae officiis et mori

Nullum officium relinquis; non enim certus numerus quem debeas explere finitur

Nulla vita est non brevis; nam si ad naturam rerum respexeris, etiam Nestoris et Sattiae brevis est, quae inscribi monumento suo iussit annis se nonaginta novem vixisse

Vides aliquem gloriari senectute longa: quis illam ferre potuisset si contigisset centesimum implere

Quomodo fabula, sic vita: non quam diu, sed quam bene acta sit, refert

Nihil ad rem pertinet quo loco desinas

Quocumque voles desine: tantum bonam clausulam inpone

Vale
Ma, può rispondere, io voglio vivere, compio tante nobili azioni; non ho intenzione di venir meno ai doveri dell'esistenza, doveri che adempio con probità e zelo

Perché

Ignori che uno dei doveri della vita è anche morire

Tu non trascuri nessun obbligo; non hai un numero definito di doveri da compiere

Ogni vita è breve; se guardi alla natura delle cose, è breve anche l'esistenza di Nestore e di Sattia, che ha voluto scritto sulla sua tomba di essere vissuta novantanove anni

Vedi: c'è chi si vanta di una lunga vecchiaia; chi l'avrebbe potuta sopportare se fosse arrivata a cent'anni

La vita è come un dramma; non conta quanto è lunga, ma se viene rappresentata bene

Non importa dove finisci

Finisci dove vuoi, basta che tu chiuda bene

Stammi bene

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Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 07-08 Parte 02

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 07-08 Parte 02

Vexari te destillationibus crebris ac febriculis, quae longas destillationes et in consuetudinem adductas sequuntur, eo molestius mihi est quia expertus sum hoc genus valetudinis, quod inter initia contempsi -- poterat adhuc adulescentia iniurias ferre et se adversus morbos contumaciter gerere -- deinde succubui et eo perductus sum ut ipse destillarem, ad summam maciem deductus

Saepe impetum cepi abrumpendae vitae: patris me indulgentissimi senectus retinuit

Cogitavi enim non quam fortiter ego mori possem, sed quam ille fortiter desiderare non posset

Itaque imperavi mihi ut viverem; aliquando enim et vivere fortiter facere est

Quae mihi tunc fuerint solacio dicam, si prius hoc dixero, haec ipsa quibus adquiescebam medicinae vim habuisse; in remedium cedunt honesta solacia, et quidquid animum erexit etiam corpori prodest
Ti tormentano continuamente catarro e febbriciattole, inevitabile conseguenza di un catarro cronico e di vecchia data; mi dispiace tanto più perché ci sono passato anch'io per questo genere di malattia: all'inizio non ci feci caso, ero giovane e potevo ancòra sopportare i danni di un male e comportarmi con una certa arroganza nei suoi confronti; poi, dovetti soccombere, e mi ridussi a essere tutto catarro e diventai uno scheletro

Tante volte mi prese la voglia di farla finita: ma mi trattenne la vecchiaia del mio amorevolissimo padre

Pensai non come potevo morire da forte, ma come mio padre non avesse la forza di sopportare la mia scomparsa

Perciò mi imposi di vivere; talvolta anche vivere è un atto di coraggio

Ti dirò che cosa mi diede sollievo; ma prima voglio dirti che quanto mi confortava ebbe per me l'efficacia di una medicina; un conforto onesto diventa una medicina e, se una cosa solleva l'anima, giova anche al corpo
Studia mihi nostra saluti fuerunt; philosophiae acceptum fero quod surrexi, quod convalui; illi vitam debeo et nihil illi minus debeo

Multum autem mihi contulerunt ad bonam valetudinem et amici, quorum adhortationibus, vigiliis, sermonibus adlevabar

Nihil aeque, Lucili, virorum optime, aegrum reficit atque adiuvat quam amicorum adfectus, nihil aeque expectationem mortis ac metum subripit: non iudicabam me, cum illos superstites relinquerem, mori

Putabam, inquam, me victurum non cum illis, sed per illos; non effundere mihi spiritum videbar, sed tradere

Haec mihi dederunt voluntatem adiuvandi me et patiendi omne tormentum; alioqui miserrimum est, cum animum moriendi proieceris, non habere vivendi

Ad haec ergo remedia te confer
Gli studi furono la mia salvezza; grazie alla filosofia se mi sono risollevato, se sono guarito; alla filosofia sono debitore della vita, ma questo è il debito più piccolo che ho con lei

Anche gli amici contribuirono molto alla mia guarigione; i loro consigli, le veglie, le conversazioni mi erano di sollievo

Niente, mio ottimo Lucilio, rianima un ammalato e lo sostiene quanto l'affetto degli amici, niente serve tanto a ingannare l'attesa e il timore della morte: non ritenevo di morire, se rimanevano in vita loro

Pensavo, voglio dire, che sarei vissuto non con loro, ma attraverso loro; non mi sembrava di esalare l'anima, ma di trasmetterla

Tutto questo mi diede la volontà di farmi forza e di sopportare ogni tormento; altrimenti è ben triste cosa non avere il coraggio di vivere e aver buttato via il coraggio di morire

Questi sono i farmaci da prendere

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Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 03-04 Parte 01

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 03-04 Parte 01

Medicus tibi quantum ambules, quantum exercearis monstrabit; ne indulgeas otio, ad quod vergit iners valetudo; ut legas clarius et spiritum, cuius iter ac receptaculum laborat, exerceas; ut naviges et viscera molli iactatione concutias; quibus cibis utaris, vinum quando virium causa advoces, quando intermittas ne inritet et exasperet tussim

Ego tibi illud praecipio quod non tantum huius morbi sed totius vitae remedium est: contemne mortem

Nihil triste est cum huius metum effugimus

Tria haec in omni morbo gravia sunt: metus mortis, dolor corporis, intermissio voluptatum

De morte satis dictum est: hoc unum dicam, non morbi hunc esse sed naturae metum

Multorum mortem distulit morbus et saluti illis fuit videri perire

Morieris, non quia aegrotas, sed quia vivis
il medico ti prescriverà quante passeggiate o quanto moto devi fare; ti raccomanderà di non abbandonarti all'ozio cui si tende quando una malattia costringe all'inattività; di leggere ad alta voce e di esercitare il fiato perché vie respiratorie e polmoni lavorano male; di andare in barca per smuovere le viscere con quel dolce ondeggiare; ti dirà che cosa devi mangiare, quando devi bere vino per darti forza, quando devi astenertene per non provocare e inasprire la tosse

Io ti prescrivo un rimedio adatto non solo a questa malattia, ma a tutta l'esistenza: il disprezzo della morte

Non c'è più nulla di triste, se ci sottraiamo alla paura della morte

In ogni malattia ci sono tre cose gravi: il timore della morte, il dolore fisico, l'interruzione dei piaceri

Della morte si è detto abbastanza, aggiungerò solo questo: è un timore legato non alla malattia, ma alla nostra natura

successo a tanta gente che una malattia ne allontanasse la morte, e la sensazione di morire fu per loro salutare

Morirai non perché sei ammalato, ma perché vivi
Ista te res et sanatum manet; cum convalueris, non mortem sed valetudinem effugeris

Ad illud nunc proprium incommodum revertamur: magnos cruciatus habet morbus, sed hos tolerabiles intervalla faciunt

Nam summi doloris intentio invenit finem; nemo potest valde dolere et diu; sic nos amantissima nostri natura disposuit ut dolorem aut tolerabilem aut brevem faceret

Maximi dolores consistunt in macerrimis corporis partibus: nervi articulique et quidquid aliud exile est acerrime saevit cum in arto vitia concepit

Sed cito hae partes obstupescunt et ipso dolore sensum doloris amittunt, sive quia spiritus naturali prohibitus cursu et mutatus in peius vim suam qua viget admonetque nos perdit, sive quia corruptus umor, cum desiit habere quo confluat, ipse se elidit et iis quae nimis implevit excutit sensum
La morte ti attende anche dopo la guarigione; se guarirai, non sarai sfuggito alla morte, ma alla malattia

Torniamo ora ai disagi veri e propri: una malattia provoca forti sofferenze, ma a intervalli che le rendono tollerabili

Un dolore quando è al massimo dell'intensità non dura; nessuno può soffrire intensamente e a lungo: la natura, che ci ama molto, ci ha regolato in modo che il dolore fosse o sopportabile o di breve durata

I dolori più acuti si localizzano nei punti più magri del corpo; i nervi, le giunture e le altre parti più scarne ci fanno soffrire terribilmente quando il male si annida nella loro superficie limitata

Queste parti, però si intorpidiscono presto e l'intensità stessa del dolore le rende insensibili, primo perché lo spirito vitale è impedito nelle sue attività naturali e si deteriora: perde la forza da cui trae vigore e con cui ci stimola; secondo perché gli umori corrotti, quando non hanno più uno sbocco, si neutralizzano da sé e privano di sensibilità quelle parti che hanno riempito in maniera eccessiva

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Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 05-06 Parte 03

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 05-06 Parte 03

[9] Sic podagra et cheragra et omnis vertebrarum dolor nervorumque interquiescit cum illa quae torquebat hebetavit; omnium istorum prima verminatio vexat, impetus mora extinguitur et finis dolendi est optorpuisse

Dentium, oculorum, aurium dolor ob hoc ipsum acutissimus est quod inter angusta corporis nascitur, non minus, mehercule, quam capitis ipsius; sed si incitatior est, in alienationem soporemque convertitur

Hoc itaque solacium vasti doloris est, quod necesse est desinas illum sentire si nimis senseris

Illud autem est quod inperitos in vexatione corporis male habet: non adsueverunt animo esse contenti; multum illis cum corpore fuit

Ideo vir magnus ac prudens animum diducit a corpore et multum cum meliore ac divina parte versatur, cum hac querula et fragili quantum necesse est
Così la gotta che colpisce mani e piedi e tutti i dolori delle vertebre e dei nervi si calmano quando ottundono le parti che tormentavano; le prime fitte di tutte queste malattie sono lancinanti, poi, se durano, finisce la fase acuta e al dolore subentra l'intorpidimento

Il mal di denti, di occhi, di orecchie è più acuto perché si sviluppa in organi molto piccoli, e lo stesso è, perbacco, per il mal di testa; se, però è troppo violento, provoca delirio e torpore

Perciò un dolore intenso porta questo sollievo: se lo si sente troppo, si finisce necessariamente per non sentirlo più

Ma c'è una cosa che tormenta gli ignoranti nelle sofferenze fisiche: non sono abituati a essere paghi dello spirito; attribuiscono molta importanza al corpo

Perciò l'uomo magnanimo e saggio separa l'anima dal corpo e con la parte migliore di sé, di origine divina, si intrattiene a lungo, con quella corporea lamentosa e fragile, invece, solo lo stretto necessario
'Sed molestum est' inquit 'carere adsuetis voluptatibus, abstinere cibo, sitire, esurire

' Haec prima abstinentia gravia sunt, deinde cupiditas relanguescit ipsis per se quae cupimus fatigatis ac deficientibus; inde morosus est stomachus, inde quibus fuit aviditas cibi odium est

Desideria ipsa moriuntur; non est autem acerbum carere eo quod cupere desieris

Adice quod nullus non intermittitur dolor aut certe remittitur

Adice quod licet cavere venturum et obsistere inminenti remediis; nullus enim non signa praemittit, utique qui ex solito revertitur

Tolerabilis est morbi patientia, si contempseris id quod extremum minatur

Noli mala tua facere tibi ipse graviora et te querelis onerare: levis est dolor si nihil illi opinio adiecerit

Contra si exhortari te coeperis ac dicere 'nihil est aut certe exiguum est; duremus; iam desinet', levem illum, dum putas, facies
Ma, si obietta, è fastidioso non godere dei consueti piaceri, astenersi dal cibo, soffrire la sete, la fame

In un primo momento queste privazioni sono gravose, poi il desiderio comincia ad attenuarsi proprio per la spossatezza e l'indebolimento degli organi del desiderio; lo stomaco diventa schifiltoso e all'avidità di cibo subentra la nausea

Anche le voglie si spengono e allora non è duro rinunciare a ciò che non si desidera

Aggiungi che ogni dolore a tratti si placa o, almeno, diminuisce

Inoltre, è possibile prevenirlo e contrastarlo con le medicine; ogni tipo di sofferenza presenta chiari sintomi, specie se ritorna spesso

, dunque, possibile sopportare la malattia se ne disprezzi le estreme conseguenze

Non renderti più gravosi i tuoi mali, non opprimerti con i lamenti: il dolore è leggero se non lo accresci con la tua suggestione

Se comincerai invece a farti coraggio e a dirti: Non è niente o almeno è cosa da poco; resistiamo, sta per finire, con questi pensieri lo renderai leggero

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Seneca, Lettere a Lucilio: Libro 01

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libro 01

Omnia ex opinione suspensa sunt; non ambitio tantum ad illam respicit et luxuria et avaritia: ad opinionem dolemus

Tam miser est quisque quam credidit

Detrahendas praeteritorum dolorum conquestiones puto et illa verba: 'nulli umquam fuit peius

Quos cruciatus, quanta mala pertuli

Nemo me surrecturum putavit

Quotiens deploratus sum a meis, quotiens a medicis relictus

In eculeum inpositi non sic distrahuntur

' Etiam si sunt vera ista, transierunt: quid iuvat praeteritos dolores retractare et miserum esse quia fueris

Quid quod nemo non multum malis suis adicit et sibi ipse mentitur

Deinde quod acerbum fuit ferre, tulisse iucundum est: naturale est mali sui fine gaudere

Circumcidenda ergo duo sunt, et futuri timor et veteris incommodi memoria: hoc ad me iam non pertinet, illud nondum
Tutto dipende dalla suggestione; e non ne sono soggette soltanto l'ambizione, la lussuria, l'avidità: soffriamo per suggestione

Ognuno è infelice quanto ritiene di esserlo

Ma evitiamo, io la penso così, di lamentarci per i dolori passati dicendo: A nessuno è mai capitato di peggio

Che sofferenze, che mali ho sopportato

Nessuno pensava che mi sarei ripreso

Quante volte i miei mi hanno pianto, quante volte i medici mi hanno dato per spacciato

Nemmeno sotto tortura si soffre tanto

Anche se questo è vero, ormai è andata: a che serve rivangare i dolori sofferti ed essere infelice ora perché lo sei stato in passato

Tutti ingigantiscono i loro mali e mentono a se stessi

E poi è piacevole che siano finiti quei dolori che è stato duro sopportare: quando il male finisce, è naturale goderne

Due cose, dunque, vanno eliminate: il timore di un nuovo male e il ricordo di quello vecchio; l'uno ancora non mi tocca, l'altro non mi tocca più

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