Non desiit enim assidue tremere Campania, clementius quidem sed cum ingenti damno, quia quassa quatiebat, quibus ad cadendum male stantibus non erat impelli sed agitari: nondum videlicet spiritus omnis exierat, sed adhuc, emissa sui parte maiore, oberrabat Inter argumenta quibus probatur spiritu ista fieri, non est quod dubites et hoc ponere [31,2] Cum maximus editus tremor est, quo in urbes terrasque saeuitum est, non potest par illi subsequi alius, sed post maximum lenes motus sunt, quia iam uehement vis exitum ventis luctantibus fecit; reliquiae deinde residui spiritus non idem possunt, nec illis pugna opus est, cum iam viam invenerint sequanturque ea qua prima vis ac maxima evasit |
La Campania, infatti, non smise di tremare ripetutamente, con scosse talmente deboli, ma molto dannose, in quanto scuotevano edifici già scossi, che, reggendosi in piedi precariamente, per cadere non necessitavano di essere spinti, ma solo di essere mossi: evidentemente laria non era ancora uscita tutta, ma, emessa la maggior parte, si aggirava ancora qua e là Fra le prove con le quali si dimostra che questi fenomeni sono prodotti dallaria non esitare ad elencare anche questa [31,2] Quando si è verificata una scossa estremamente forte, che ha infuriato contro città e regioni, non può seguirne unaltra della stessa potenza, ma dopo quella più violenta ne vengono altre leggere, perché quella più forte ha già aperto una via duscita ai venti in lotta; laria rimasta non ha la stessa potenza e non necessita di ingaggiare battaglia, perché ha già trovato una via duscita e la segue passando per la strada attraverso cui è uscita la prima e più potente massa daria |
[31,3] Hoc quoque dignum memoria iudico ab eruditissimo et gravissimo viro cognitum (forte enim, cum hoc evenit, lavabatur): vidisse se affirmat in balneo tessellas quibus solum erat stratum alteram ab altera separari iterumque committi et aquam modo recipi in commissuras pavimento recedente, modo compresso bullire et elidi Eundem audivi narrantem vidisse se macerias mollius crebriusque tremere quam natura duri sinit [32,1] Haec, Lucili, virorum optime, quantum ad ipsas causas: illa nunc quae ad confirmationem animorum pertinent Quos magis refert nostra fortiores fieri quam doctiores; sed alterum sine altero non fit: non enim aliunde animo venit robur quam a bonis artibus, quam a contemplatione naturae |
[31,3] Ritengo degno di essere ricordato anche questo fato venuto a conoscenza di un uomo molto colto e serio: egli sostiene di aver visto che in bagno ( casualmente, infatti, si stava lavando, quando accadde ciò) le tessere da mosaico di cui era rivestito il pavimento si separavano le une dalle altre e poi si ricongiungevano, e che lacqua ora si raccoglieva nelle fessure, quando il pavimento si ritirava, ora usciva gorgogliando, quando si ricomponeva Lho sentito raccontare anche daver visto dei muri a secco in preda a scosse più dolci e più frequenti di quanto non lo permetta la loro naturale durezza [32,1] questo è tutto, o Lucilio, che sei il migliore fra tutti gli uomini, per ciò che concerne le cause: passiamo adesso a ciò che può dare forza agli animi Perché a noi interessa maggiormente che essi diventino più forti che più dotti; ma luno non può accadere senza laltro: infatti, la forza dellanimo non ha altra origine che i buoni studi e la contemplazione della natura |
[32,2] Quem enim non hic ipse casus adversus omnes firmaverit, erexerit Quid est enim cur ego hominem aut feram, quid est cur sagittam aut lanceam tremam Maiora me pericula expectant: fulminibus et terris et magnis naturae partibus petimur [32,3] Ingenti itaque animo mors provocanda est, sive nos aequo vastoque impetu aggreditur, sive cotidiano et vulgari exitu Nihil refert quam minax veniat quantumque sit quod in nos trahat; quod a nobis petit minimum est: hoc senectus a nobis ablatura est, hoc auriculae dolor, hoc umoris in nobis corrupti abundantia, hoc cibus parum obsequens stomacho, hoc pes leviter offensus |
[32,2] Chi, infatti, non è stato reso forte e rinfrancato contro tutte le sventure proprio da tale disastro Perché, infatti, dovrei tremare davanti a una freccia o a una lancia Mi aspettano pericoli più gravi: siamo presi di mira dai fulmini, dalla terra e dai potenti apparati della natura [32,3] E necessario quindi sfidare la morte, sia che essa ci attacchi ampiamente e in modo imponente, sia che ci riservi una fine banale e comune Non ha importanza la violenza delle sue minacce o la grandezza dei mezzi messi in movimento contro di noi; ciò che vuole da noi è ben poco: ce lo può portare via la vecchiaia, un mal dorecchie, un eccesso di umori guasti, un cibo poco adatto allo stomaco, una lieve escoriazione al piede |
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Latino: dall'autore Seneca, opera Naturales Quaestiones parte Libro 06; 01-05
[32,4] Pusilla res est hominis anima, sed ingens res contemptus animae: hanc qui contempsit securus videbit maria turbari, etiamsi illa omnes excitaverunt venti, etiamsi aestus aliqua perturbatione mundi totum in terras vertet oceanum; securus aspiciet fulminantis caeli trucem atque horridam faciem, frangatur licet caelum et ignes suos in exitium omnium, in primis suum, misceat; securus aspiciet ruptis compagibus dehiscens solum, illa licet inferorum regna retegantur Stabit super illam voraginem intrepidus et fortasse quo debebit cadere desiliet [32,5] Quid ad me quam magna sint quibus pereo Ipsum perire non magnum est |
[32,4] La vita delluomo è una cosa insignificante, ma una grande cosa è il disprezzo della vita: colui che lha disprezzata vedrà senza turbarsi i mari in tempesta, anche se tutti i venti li avranno alzati, anche se la marea, in uno sconvolgimento totale del mondo, rovescerà sulla terra tutto loceano; guarderà senza turbarsi il suolo che si spacca, rottisi i legami che lo hanno unito, se anche si aprissero i regni degli Inferi Rimarrà fermo, impavido, sullorlo di quella voragine, e forse scenderà là dove dovrebbe cadere [32,5] Che importanza può avere per me la grandezza delle forze che mi faranno morire Lo stesso morire non è una grande cosa |
Proinde si volumus esse felices, si nec hominum nec deorum nec rerum timore versari, si despicere fortunam supervacua promittentem, leuia minitantem, si volumus tranquille degere et ipsis diis de felicitate controversiam agere, anima in expedito est habenda: sive illam insidiae sive morbi petent sive hostium gladii sive insularum cadentium fragor sive ipsarum ruina terrarum sive vasta vis ignium urbes agrosque pari clade complexa, qui volet illam accipiat [32,6] Quid aliud debeo quam exeuntem hortari et cum bonis ominibus emittere "Vade fortiter, vade feliciter Nihil dubitaveris: redderis Non de re sed de tempore est quaestio, facis quod quandoque faciendum est |
Quindi, se desideriamo vivere felici, se non vogliamo essere esposti alla paura degli uomini né degli dèi né delle cose, se volgiamo disprezzare la fortuna che promette cose senza alcun valore e minaccia mali senza importanza, se vogliamo vivere una vita tranquilla e gareggiare in felicità con gli dèi stessi, è necessario tenere lanima sempre pronta: sia che lattacchino gli agguati o le spade nemiche o il rumoroso crollo di grandi caseggiati o lo sprofondamento della terra o la furia devastatrice di incendi che avvolgono in ununica rovina città e campagne, chi la vorrà se la prenda pure [32,6] Cosaltro devo fare, se non incoraggiarla, nel momento di andarsene e congedarla con buoni auguri Va con coraggio, Va felice Non esitare : sei resa alla tua origine In questione non è la cosa, ma soltanto il tempo: tu fai ciò che prima o poi è necessario fare |
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Nec rogaveris nec timueris nec te velut in aliquod malum exiturum tuleris retro: rerum natura te, quae genuit, expectat et locus melior ac tutior [32,7] Illic non tremunt terrae nec inter se venti cum magno nubium fragore concurrunt, non incendia regiones urbesque vastant, non naufragiorum totas classes sorbentium metus est, non arma contrariis disposita vexillis et in mutuam perniciem multorum milium par furor, non pestilentia et ardentes promiscue communes populis cadentibus rogi" Istud leve est: quid timemus grave est: potius semel incidat quam semper impendeat [32,8] Ego autem perire timeam, cum terra ante me pereat, cum ista quatiantur quae quatiunt et in iniuriam nostram non sine sua veniant Helicen Burinque totas mare accepit: ego de uno corpusculo timeam |
Non supplicare, non avere paura, non tirarti indietro come se dovessi andare verso qualche male: la natura che ti ha creato ti aspetta, e in luogo migliore e sicuro [32,7] Là non trema la terra, e i venti non cozzano fra loro con gran rumore di nuvole, gli incendi non devastano regioni e città, non esiste il timore di naufragi che inghiottono intere flotte, non esistono eserciti schierati sotto bandiere nemiche e molte migliaia di soldati pronti a sterminarsi vicendevolmente con lo stesso furore, non cè la pestilenza, né ci sono roghi comuni su cui ardono insieme cadaveri di popoli che cadono La morte è un evento trascurabile: perché ne abbiamo paura E un evento importante: allora è meglio che ci colpisca una volte per tutte anziché incombere sempre su di noi [32,8] E io dovrei aver timore di morire, quando la terra muore prima di me, quando queste cose che ci scuotono sono a loro volta scosse e non possono fare male a noi senza farne a se stesse Il mare ha inghiottito del tutto Erice e Bura : io dovrei temere per un solo misero corpo |
Supra oppida duo navigatur (duo autem quae novimus, quae in nostram notitiam memoria litteris seruvta perduxit: quam multa alia aliis locis mersa sunt, quot populos aut terra aut infra se mare inclusit ): ego recusem mei finem, cum sciam me sine fine non esse Immo cum sciam omnia esse finita, ego ultimum suspirium timeam [32,9] Quantum potes itaque, ipse te cohortare, Lucili, contra metum mortis: hic est qui nos humiles facit; hic est qui vitam ipsam, cui parcit, inquietat ac perdit; hic omnia ista dilatat, terrarum motus et fulmina Quae omnia feres constanter, si cogitaveris nihil interesse inter exiguum tempus et longum [32,10] Horae sunt quas perdimus; puta dies esse, puta menses, puta annos: perdimus illos nempe perituros Quid, oro te, refert num perveniam ad illos |
Si naviga sopra due città ( due città che conosciamo, il ricordo delle quali, conservato dagli scrittori, è giunto fino alla nostra conoscenza: ma quante altre sono state sommerse in altri luoghi, quanti popoli ha inghiottito nelle sue viscere la terra o il mare ) : e io dovrei rifiutare la mia fine, pur sapendo, che io non sono senza fine Anzi, sapendo che tutte le cose hanno una fine, dovrei temere di esalare lultimo respiro [32,9] Quindi, o Lucilio, fatti coraggio quanto puoi contro la paura della morte: è questa paura che ci rende meschini; è tale paura che ingrandisce tutti questi fenomeni, i terremoti e i fulmini E tu sopporterai tutte queste cose fermamente, se penserai che non esiste nessuna differenza fra un arco di tempo breve e uno lungo [32,10] Sono ore quelle che noi perdiamo; pensa che sono giorni, mesi, anni: li perdiamo sì, ma li avremmo persi comunque Ti prego, dimmi, che importanza ha se riesco a raggiungerli |
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Fluit tempus et avidissimos sui deserit; nec quod futurum est meum est nec quod fuit: in puncto fugientis temporis pendeo, et magni est modicum fuisse [32,11] Eleganter ille Laelius sapiens dicenti cuidam "Sexaginta annos habeo", "Hos", inquit, "dicis sexaginta quos non habes" Ne ex hoc quidem intellegimus incomprehensibilis uitae condicionem et sortem temporis semper alieni, quod annos numeramus amissos [32,12] Hoc affigamus animo, hoc nobis subinde dicamus: moriendum est Quando Quid tua Mors naturae lex est, mors tributum officiumque mortalium malorumque omnium remedium est: optavit illam quisquis timet Omnibus omissis, hoc unum, Lucili, meditare, ne mortis nomen reformides; effice illam tibi cogitatione multa familiarem, ut, si ita tulerit, possis illi et obviam exire |
Il tempo scorre e ci lascia molto avidi di sé; non è mio né quello che è passato né quello che verrà: sono sospeso a un attimo fuggente, e è già tanto che abbia avuto un minimo di durata [32,11] Il famoso saggio Lelio, a uno che affermava: Ho sessantanni, rispose: Tu parli di quei sessanta che non hai più Neanche dal fatto che contiamo gli anni persi ci accorgiamo che la condizione della vita è di essere inafferrabile e che la sorte del tempo è di non appartenerci mai [32,12] Stampiamoci bene nellanimo ciò e ripetiamocelo di continuo: si deve morire Quando Che importa La morte è una legge di natura, la morte è un tributo e un dovere per i mortali e è il rimedio per tutti i mali: chiunque ha paura la invoca Tralasciando tutto il resto, Lucilio, medita questo soltanto: non aver paura della parola morte; fa sì che ti diventi famigliare, riflettendoci molto, in modo che, se ce ne sarà bisogno, tu sia in grado di andarle incontro |