l'orizzonte è altissimo, come nelle scene di battaglie tra romani e barbari. Una striscia di cielo dove il Sole tramonta borda il margine superiore della tela: al di là non v'è posto che per la mischia furiosa di cavalieri, cavalli e fanti, che dilaga ribollendo dal primo piano al fondo. Il taglio dell'immagine immerge lo spettatore nel vivo della lotta, convocandolo nel punto in cui i tre ebrei affiancati e sincroni prendono la mira contro un amalechita in fuga: le forze di Israele sono unite, compatte superiori in numero e per Amalek è giunta l'ora della sconfitta.
Uno dei guerrieri ha la freccia incoccata, l'altro sta per scagliare la Lancia, l'ultimo ha lasciato partire il dardo: il braccio destro è ancora flesso nel tiro ma la corda dell'arco è ferma. l'amalechita che scappa è raffigurato di spalle, con le vesti e i capelli scompigliati; l'orrore che non gli si legge in viso trova eco sui volti dei feriti, travolti dalla sua corsa vana.
Lungo la tela, le espressioni dei personaggi palesano alternativamente ferocia e strazio; le pose sono tese ed energiche in chi combatte, scomposte e rilasciate in chi muore. Sangue se ne vede solo a terra, accanto ai corpi e alle armi abbandonate, ma l'abito dell'amalechita disarcionato e la bandiera gonfia di vento spargono il rosso per il quadro, in larghe macchie allusive alla mattanza.
Sulla cima del colle sta Mosè. In apparenza defilato, la sua figura occupa una posizione di dominio, non solo visivamente ma anche dal punto di vista simbolico. Mosè governa le sorti dello scontro: da lui procede la forza divina che decreta la vittoria degli ebrei. Nel dipinto è inginocchiato a braccia aperte e raccoglie quella forza che dirompe scaricandosi a terra in una diagonale tracciata dalle braccia tesa degli arcieri.
La lotta di Israele contro Amalek rappresenta la guerra senza quartiere dell'uomo contro il demonio, il nemico che tenta di impedirgli l'accesso alla Terra promessa.
Il dipinto fu realizzato nel 1625, un anno dopo il trasferimento dell'artista dalla Francia a Roma.