Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 14, Paragrafi 01-50

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 14, Paragrafi 01-50

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 14, Paragrafi 01-50
[1]Externae arbores indocilesque nasci alibi quam ubi coepere et quae in alienas non commeant terras hactenus fere sunt, licetque iam de communibus loqui, quarum omnium peculiaris parens videri potest Italia

noscentes tantum meminerint naturas earum a nobis interim dici, non culturas, quamquam et colendi maxima in natura portio est

[2]illud satis mirari non queo, interisse quarundam memoriam atque etiam nominum quae auctores prodidere notitiam

quis enim non communicato orbe terrarum maiestate Romani imperii profecisse vitam putet commercio rerum ac societate festae pacis omniaque, etiam quae ante occulta fuerant, in promiscuo usu facta

[3]at Hercules non reperiuntur qui norint multa ab antiquis prodita
[1] Fin qui si trovano per lo più piante straniere e incapaci di nascere altrove che dove si originarono e queste non giungono in terre straniere, ed è concesso ormai parlare di quelli comuni, di tutte queste l'Italia può sembrare la particolare produttrice

I conoscitori tengano solo presente che da noi sono trattate intanto le loro nature, non le coltivazioni, sebbene anche il modo di coltivare costituisce un grandissimo settore nella natura

[2] Di questo non riesco a meravigliarmi abbastanza, che sia scomparso il ricordo di alcune (piante) ed anche la menzione dei nomi che gli scrittori tramandarono

Infatti chi non ritiene che messo in contatto il mondo per l'imponenza dell'impero Romano la vita è progredita con il commercio dei prodotti e la comunanza di una pace gioiosa e che tutte le cose, anche quelle che erano state sconosciute prima, diventate di uso comune

[3] Eppure, per Ercole, non si trovano quelli che conoscano molte cose tramandate dagli antichi
tanto priscorum cura fertilior aut industria felicior fuit, ante milia annorum inter principia litterarum Hesiodo praecepta agricolis pandere orso subsecutisque non paucis hanc curam eius, unde nobis crevit labor, quippe cum requirenda sint non solum postea inventa, verum etiam ea quae invenerant prisci, desidia rerum internecione memoriae indicta

[4]cuius vitii causas quis alias quam publicas mundi invenerit

nimirum alii subiere ritus circaque alia mentes hominum detinentur et avaritiae tantum artes coluntur

antea inclusis gentium imperiis intra ipsas adeoque et ingeniis, quadam sterilitate fortunae necesse est animi bona exercere, regesque innumeri honore artium colebantur et in ostentatione has praeferebant opes, inmortalitatem sibi per illas prorogari arbitrantes, qua re abundabant et praemia et opera vitae
La cura degli antichi fu tanto più ricca o l'attività più redditizia, mille anni fa durante gli inizi degli scritti quando Esiodo cominciava a dare consigli ai contadini e non pochi che imitarono questo suo interesse, da allora aumentò per noi il lavoro, poiché devono essere ricercate non solo le cose inventate dopo, ma anche quelle che avevano trovato gli antichi, poichè la negligenza delle cose si era imposta con la dissoluzione della memoria

[4] Chi ha trovato altre cause di questo errore che quelle comuni del mondo

Certo altre abitudini subentrarono e gli animi degli uomini sono attirati verso altre cose e sono coltivate solo le attività del guadagno

Prima delimitati gli imperi dei popoli fra loro perciò anche gli ingegni, per una certa povertà di condizione è necessario esercitare le virtù dell'animo, e numerosi re erano venerati per l'onore delle attività e nel manifestarsi preferivano queste opere, pensando che l'immortalità si prolungasse per loro attraverso quelle, per questo abbondavano anche i vantaggi e le attività per la vita
[5]posteris laxitas mundi et rerum amplitudo damno fuit

postquam senator censu legi coeptus, iudex fieri censu, magistratum ducemque nihil magis exornare quam census, postquam coepere orbitas in auctoritate summa et potentia esse, captatio in quaestu fertilissimo ac sola gaudia in possidendo, pessum iere vitae pretia omnesque a maximo bono liberales dictae artes in contrarium cecidere ac servitute sola profici coeptum

[6]hanc alius alio modo et in aliis adorare, eodem tamen habendique ad spes omnium tendente voto

passim vero etiam egregii alienta vitia quam bona sua colere malle

ergo Hercules voluptas vivere coepit, vita ipsa desiit
[5] Per i posteri la vastità del mondo e l'abbondanza dei beni fu di danno

Dopo che il senatore cominciò ad essere eletto in base al censo, a diventare giudice in base al censo, niente onorare un magistrato e un condottiero più che il censo, dopo che la mancanza di figli cominciò ad essere nella massima considerazione ed importanza, la caccia ad un guadagno molto ricco e nel possedere, uniche gioie, decaddero i valori della vita e dal massimo bene tutte le arti dette liberali si trovarono all'opposto e si cominciò a fare uso del solo servilismo

[6] Uno l'esaltava in un modo uno in un altro e in altri, tuttavia col medesimo desiderio di tutti che tendeva alle speranze di possedere

Talora poi anche gli (uomini) egregi preferire di coltivare i vizi piuttosto che le loro qualità

Dunque per Ercole la voluttà cominciò ad esistere, la vita stessa cessò

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 34, Paragrafi 137-162

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 34, Paragrafi 137-162

[7]sed nos oblitterata quoque scrutabimur, nec deterrebit quarundam rerum humilitas, sicuti nec in animalibus fecit, quamquam videmus Vergilium praecellentissimum vatem ea de causa hortorum dotes fugisse et in his quae rettulit flores modo rerum decerpsisse, beatum felicemque gratiae quindecim omnino generibus uvarum nominatis, tribus oleae, totidem pirorum, malo vero tantum Assyrio, ceteris omnibus neglectis

[8]Unde autem potius incipiamus quam a vitibus

quarum principatus in tantum peculiaris Italiae est, ut vel hoc uno omnia gentium vicisse etiam odorifera possit videri bona, quamquam ubicumque pubescentium odori nulla suavitas praefertur

[9]Vites iure apud priscos magnitudine quoque inter arbores numerabantur

Iovis simulacrum in urbe Populonio ex una conspicimus tot aevis incorruptum, item Massiliae pateram
[7] Ma noi indagheremo anche le cose dimenticate, e non spaventerà l'umiltà di alcuni argomenti, come non avvenne riguardo agli animali, sebbene vediamo che Virgilio poeta molto eccellente per questo motivo tralasciò le qualità dei giardini e in quelle cose che ha trattato ha colto solo i fiori delle cose, soddisfatto e felice della grazia con solo quindici nomi di generi di uve, tre di olivo, altrettanti di peri, del melo invece solo l'assiro, dimenticati tutti gli altri

[8] Da dove quindi cominciamo se non dalle viti

Il primato di queste è tipico dell'Italia tanto che, anche solo per questo può sembrare aver superato tutte (le piante) utili dei popoli anche le odorifere, sebbene nessuna soavità sia preferita al profumo di quelle ovunque crescano

[9] Le viti presso gli antichi per la grandezza erano giustamente annoverate anche fra gli alberi

Nella città di Populonia vediamo una statua di Giove (ricavata) da una sola pianta intatta da tanti anni, ugualmente una pantera a Marsiglia
Metaponti templum Iunonis vitigineis columnis stetit

etiam nunc scalis tectum Ephesiae Dianae scanditur una vite Cypria, ut ferunt quoniam ibi ad praecipuam amplitudinem exeunt

nec est ligno ulli aeternior natura

verum ista ex silvestribus facta crediderim; [10]hae vites tonsura annua coercentur, et vis earum omnis evocatur in palmites aut deprimitur in propagines, sucique tantum gratia ex iis petitur pluribus modis ad caeli mores solique ingenia

in Campano agro populis nubunt, maritasque conplexae atque per ramos earum procacibus bracchis geniculato cursu scandentes cacumina aequant, in tantum sublimes, ut vindemitor auctoratus rogum ac tumulum excipiat, nulla fine crescendi, [11]vidique iam porticus, villas et domos ambiri singularum palmitibus ac sequacibus loris
Il tempio di Giunone a Metaponto si sostenne su colonne di viti

Anche ora al tetto (del tempio) di Diana ad Efeso si sale con scale (ricavate) da una vite di Cipro, come dicono poiché là crescono fino ad una particolare altezza

Non c'è per nessun legno una materia più duratura

Ma potrei ritenere queste cose fatte con viti selvatiche; [10] Queste viti sono tagliate con una potatura annuale, e tutta la loro energia è concentrata nei tralci o è rivolta verso le propaggini, e solo a vantaggio del succo è indirizzata in questi vari modi secondo le propensioni del cielo e le proprietà del terreno

Nel territorio campano si uniscono ai pioppi, e abbracciati i compagni arrampicandosi poi attraverso i loro rami con braccia rigogliose in un giro nodoso raggiungono le cime, tanto in alto, che il vendemmiatore ingaggiato richiede un rogo e una sepoltura, senza fine di crescita, [11] e ho visto ormai portici, ville e case essere avvolte da tralci e rami rampicanti di singole viti

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 34, Paragrafi 66-97

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 34, Paragrafi 66-97

quodque memoria dignum inter prima Valerianus quoque Cornelius existimavit, una vitis Romae in Liviae porticibus subdiales inambulationes umbrosis pergulis opacat, eadem duodenis musti amphoris fecunda

[12]ulmos quidem ubique exuperant, miratumque altitudinem earum Ariciae ferunt legatum regis Pyrrhi Cineam facete lusisse in austeriorem gustum vini, merito matrem eius pendere in tam alta cruce

rumpotinus vocatur et alio nomine opulus arbor Italiae Padum transgressis, cuius tabulata in orbem patula replent puroque perductae dracone in palmam eius inde sub rectos ramorum digitos flagella dispergunt

[13]eaedem modici hominis altitudine adminiculatae sudibus horrent, vineamque faciunt aliae inprobo reptatu pampinorumque per inania omnia discursu atria media conplentes

tot differentias vel sola tantum Italia recipit
Ed anche Valeriano Cornelio fra le prime cose ritenne questo degno di memoria, a Roma nei portici di Livia una vite con le ombrose pergole ricopre le passeggiate all'aperto, la stessa ricca di dodici anfore di mosto

[12] Dappertutto superano anche gli olmi, e dicono che Cinea ambasciatore del re Pirro meravigliato della loro altezza ad Ariccia abbia scherzato sul gusto più aspro del vino, che la sua (pianta) madre giustamente pendeva da una forca tanto in alto

Si chiama rumpotino e con altro nome ioppio l'albero dell'Italia al di là del Po, i cui rami estesi riempiono intorno e innalzate con il tralcio dritto fino alla sua cima di là spargono le propaggini sotto i prolungamenti dritti dei rami

[13] Le medesime s'innalzano con l'altezza media di un uomo appoggiate ai pali, e altre formano una vigna con audace arrampicatura dei pampini e coprendo tutti gli spazi vuoti col passare in mezzo agli atri

Soltanto l'Italia poi unica racchiude tante varietà
stat provinciarum aliquarum per se vitis sine ullo pedamento, arcus suos in se colligens et brevitate crassitudinem pascens

[14]vetant hoc aliubi venti, ut in Africa et Narbonensis provinciae partibus, ubi excrescere ultra suos pollices prohibitae semperque pastinatis similes herbarum modo vagantur per arva ac sucum terrae passim uvis bibunt, quae ob id magnitudinem infantium puerorum in interiore parte Africae exsuperant

vina non alibi tristiora, sed uva non alibi gratior callo, unde possit invenisse nomen durus acinus

[15]namque genera magnitudine, colore, saporibus acini innumera etiamnum multiplicantur vino

hic purpureo lucent colore, illic fulgent roseo nitentque viridi; candicans enim nigerque vulgares

tument vero mammarum modo bumasti, praelongis dactyli porriguntur acinis
La vite di alcune province si regge da sé senza alcun sostegno, raccogliendo le sue curvature in sé e sfruttando la grandezza con la brevità

[14] Altrove i venti impediscono questo, come in Africa e nelle zone della provincia narbonese, dove sono impedite di crescere oltre i loro nodi e simili sempre alle terre zappate si diffondono al modo delle erbe attraverso i campi e assorbono qua e là con i grappoli l'umore della terra, per questo nella parte interna dell'Africa superano la grandezza dei bambini infanti

Non altrove vini più aspri, ma altrove l'uva non più gradita per l'asprezza, da qua può aver preso il nome di duracina

[15] In effetti numerosi i tipi di acino per grandezza, colore, gusti e si moltiplicano anche per vino

Qui risplendono di un colore purpureo, lì brillano di rosso e rifulgono di verde; infatti comuni quello che biancheggia e il nero

I bumasti invece si gonfiano al modo delle mammelle, i dattili si attaccano ad acini molto lunghi

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 29, Paragrafi 70-72

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 29, Paragrafi 70-72

est et illa naturae lascivia, ut praegrandibus adhaereant parvi comites, suavitate certantes; leptorragas has vocant

[16]durant aliae per hiemes, pensili concamaratae nodo

aliae in sua tantum continentur anima, ollis fictilibus et insuper doliis inclusae, stipatae vinaceis circumsudantibus

aliis gratiam, qui et vinis, fumus adfert, fabrilisque in eo gloriam praecipuam fornacibus Africae Tiberi Caesaris auctoritas fecit; ante eum Raeticis prior mensa erat uvis ex Veroniensium agro

quin et patientia nomen acinis dat passis

[17]conduntur et musto uvae ipsaeque vino suo inebriantur

aliae decocto in musto dulcescunt, aliae vero subolem novam in ipsa matre expectant tralucidae vitro, additque acinis eandem quam in doliis amphorisve duratricem illam firmitatem austeritas picis infusa pediculo
E quella è una soavità della natura, cosicché i piccoli aderiscono simili ai molto grandi, gareggiando per dolcezza; le chiamano leptoraghe

[16] Altre durano attraverso gli inverni, sospese all'intreccio della volta

Altre sono conservate solo nella loro essenza, chiuse in pentole di terracotta e con sopra le botti, stipate con vinacce che gocciolano intorno

Ad altre conferisce pregio il fumo dalle officine, che (lo dà) anche ai vini e per questo l'autorità di Tiberio Cesare rese particolare la fama per le fornaci dell'Africa; prima di lui la mensa prioritaria era per le uve dal territorio dei Veronesi

Anzi l'essiccazione dà il nome agli acini di uva passa

[17] Le uve sono ricoperte anche dal mosto e s'inebriano esse stesse del proprio vino

Altre si addolciscono nel mosto cotto, altre invece aspettano la nuova fioritura sulla stessa pianta madre trasparenti come vetro, e l'asprezza della pece infusa nel picciolo aggiunge agli acini quella stessa durezza e solidità delle anfore e delle botti
[18]iam inventa vitis per se in vino picem resipiens, Viennensem agrum nobilitans Taburno Sotanoque et Helvico generibus, non pridem haec inlustrata atque Vergili vatis aetate incognita, a cuius obitu XC aguntur anni

[19]quid, quod inserta castris summam rerum imperiumque continet centurionum in manu vitis et opimo praemio tardos ordines ad lentas perducit aquilas atque etiam in delictis poenam ipsam honorat

nec non vineae oppugnationum dedere rationem

nam in medicaminibus adeo magnum obtinent locum, ut per sese vino ipso remedia sint

[20]Genera vitium numero conprehendi posse unus existimavit Democritus, cuncta sibi Graecae cognita professus; ceteri innumera atque infinita esse prodiderunt, quod verius apparebit ex vinis
[18] Già prodotta una vite che fa sentire di per sé la pece nel vino, che nobilita il territorio viennese con le specie Taburno e il Sotano e l'Elvico, questi non conosciuti prima e ignoti nell'età del poeta Virgilio, dalla cui morte sono trascorsi 90 anni

[19] Cosa, il fatto che la vite entrata negli accampamenti nella mano dei centurioni racchiude il potere supremo e il comando e accompagna i gradi inferiori fino agli impassibili centurioni aquiliferi con ricco premio e onora anche nei delitti la pena stessa

Inoltre le vigne fornirono il metodo degli assedi

Infatti nelle medicine occupano un posto tanto grande, che col vino stesso sono di per sé dei rimedi

[20] Solo Democrito ritenne che possono essere contati i tipi di viti, dopo aver detto che a lui erano noti tutti quelli della Grecia; gli altri tramandarono che erano innumerevoli e infiniti, cosa che apparirà più vera dai vini

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 08, Paragrafi 191 - 192

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 08, Paragrafi 191 - 192

nec omnia dicentur, sed maxime insignia, quippe totidem paene sunt quot agri, quam ob rem celeberrimas vitium aut quibus est aliqua proprietate miraculum ostendisse satis erit

[21]Principatus datur Aminneis firmitatem propter senioque proficientem vini eius utique vitam

quinque earum genera

ex iis germana minor acino melius deflorescit, imbres tempestatesque tolerat, non item maior, sed in arbore quam in iugo minus obnoxia

[22]gemellarum, quibus hoc nomen uvae semper geminae dedere, asperrimus sapor, sed vires praecipuae

ex iis minor austro laeditur, ceteris ventis alitur, ut in Vesuvio monte Surrentinisque collibus, in reliquis Italiae partibus non nisi arbori accommodata

quintum genus lanatae

ne Seras miremur aut Indos adeo, lanugo eam vestit

prima ex Aminneis maturescit ocissimeque putrescit
Non saranno citati tutti, ma soprattutto i famosi, inoltre sono tanti quasi quanto i terreni, per cui sarà sufficiente aver presentato le più famose delle viti o quelle per cui c'è il prodigio di qualche caratteristica

[21] Il primato è assegnato alle aminee per la durezza e anche per la durata nell'invecchiamento del suo vino

Cinque i loro generi

Fra questi la germana più piccola nell'acino fiorisce meglio, sopporta le piogge e le tempeste, non così la maggiore, ma meno fragile sull'albero che sotto il legno

[22] Molto aspro (il sapore) delle gemelle, a cui le uve sempre accoppiate diedero questo nome, ma notevoli le forze

Fra queste la minore è danneggiata dall'austro, viene alimentata dagli altri venti, come sul monte Vesuvio e sui colli Sorrentini, nelle restanti parti d'Italia se non appoggiata ad un albero

Le lunate il quanto tipo

Una lanugine la ricopre, come non ammiriamo nemmeno i Seri o gli Indi

Matura per prima fra le aminee e si rovina molto velocemente