currit agens mannos ad villam praecipitanter auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans; oscitat extemplo, tetigit cum limina villae, aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit, aut etiam properans urbem petit atque revisit hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit, effugere haut potis est: ingratius haeret et odit propterea, morbi quia causam non tenet aeger quam bene si videat, iam rebus quisque relictis naturam primum studeat cognoscere rerum, temporis aeterni quoniam, non unius horae, ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis aetas, post mortem quae restat cumque manendo Denique tanto opere in dubiis trepidare periclis quae mala nos subigit vitai tanta cupido certe equidem finis vitae mortalibus adstat nec devitari letum pote, quin obeamus |
Corre alla villa, sferzando i puledri, precipitosamente, come se si affrettasse a recar soccorso alla casa in fiamme; sbadiglia immediatamente, appena ha toccato la soglia della villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l'oblio, o anche parte in fretta e furia per la città e torna a vederla Così ciascuno fugge sé stesso, ma, a quel suo 'io', naturalmente, come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato, e lo odia, perché è malato e non comprende la causa del male se la scorgesse bene, ciascuno, lasciata ormai ogni altra cosa, mirerebbe prima di tutto a conoscere la natura delle cose, giacché è in questione non la condizione di un'ora sola, ma quella del tempo senza fine, in cui i mortali devono aspettarsi che si trovi tutta l'età, qualunque essa sia, che resta dopo la morte Infine, a trepidare tanto nei dubbiosi cimenti quale trista brama di vita con tanta forza ci costringe Senza dubbio un termine certo della vita incombe ai mortali, né la morte si può evitare, dobbiamo incontrarla |
praeterea versamur ibidem atque insumus usque nec nova vivendo procuditur ulla voluptas; sed dum abest quod avemus, id exsuperare videtur cetera; post aliud, cum contigit illud, avemus et sitis aequa tenet vitai semper hiantis posteraque in dubiost fortunam quam vehat aetas, quidve ferat nobis casus quive exitus instet nec prorsum vitam ducendo demimus hilum tempore de mortis nec delibare valemus, quo minus esse diu possimus forte perempti proinde licet quod vis vivendo condere saecla, mors aeterna tamen nihilo minus illa manebit, nec minus ille diu iam non erit, ex hodierno lumine qui finem vitai fecit, et ille, mensibus atque annis qui multis occidit ante |
Inoltre, ci moviamo nello stesso giro e vi rimaniamo sempre, né col continuare a vivere si produce alcun nuovo piacere; ma, finché ciò che bramiamo è lontano, sembra che esso superi ogni altra cosa; poi, quando abbiamo ottenuto quello, altro bramiamo e un'uguale sete di vita sempre in noi avidi riarde Ed è dubbio qual sorte apporti il tempo futuro, che cosa ci rechi il caso, quale fine sovrasti Né, protraendo la vita, sottraiamo mai nulla dal tempo della morte, in nulla siamo in grado d'intaccarlo, sì da potere, forse, per un tempo più breve essere morti Puoi, quindi, vivendo finire quante generazioni vuoi: ti aspetterà pur sempre quella morte eterna; né per colui che ha finito la vita con la luce di questo giorno il non esistere più sarà più breve che per colui che già da molti mesi ed anni scomparve |