Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 01, pag 3

Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 01
Ex quo, quamquam hoc videbitur fortasse cuipiam durius, tamen audeamus imitari Stoicos, qui studiose exquirunt, unde verba sint ducta, credamusque, quia fiat, quod dictum est appellatam fidem

Sed iniustitiae genera duo sunt, unum eorum, qui inferunt, alterum eorum, qui ab is, quibus infertur, si possunt, non propulsant iniuriam

Nam qui iniuste impetum in quempiam facit aut ira aut aliqua perturbatione incitatus, is quasi manus afferre videtur socio; qui autem non defendit nec obsistit, si potest, iniuriae, tam est in vitio, quam si parentes aut amicos aut patriam deserat

Atque illae quidem iniuriae, quae nocendi causa de industria inferuntur, saepe a metu proficiscuntur, cum is, qui nocere alteri cogitat, timet, ne, nisi id fecerit, ipse aliquo afficiatur incommodo
Perciò - ma forse la cosa parrà a taluni alquanto forzata - oserei imitare gli Stoici, che cercano con tanto zelo l'etimologia delle parole, e vorrei credere che fides (fede, lealtà) sia stata chiamata così perché fit (si fa) quel che è stato promesso

Vi sono, poi, due tipi d'ingiustizia: l'uno è di coloro che fanno una offesa; l'altro, di quelli che, pur potendo, non la respingono da quanti la subiscono

Difatti, colui che, spinto dall'ira o da qualche altra passione, assale ingiustamente qualcuno, fa come chi metta le mani addosso a un suo compagno; ma chi, pur potendo, non respinge e non contrasta l'offesa non è meno colpevole di chi abbandonasse senza difesa i suoi genitori, i suoi amici, la sua patria

Ed è ben vero che quelle ingiurie che si fanno per deliberato proposito di nuocere, hanno spesso origine dalla paura, quando, cioè, colui che medita di procurare un danno ad un altro, teme che, non facendo cosi, debba subir lui qualche danno
Maximam autem partem ad iniuriam faciendam aggrediuntur, ut adipiscantur ea, quae concupiverunt

In quo vitio latissime patet avaritia

Expetuntur autem divitiae cum ad usus vitae necessarios, tum ad perfruendas voluptates

In quibus autem maior est animus, in is pecuniae cupiditas spectat ad opes et ad gratificandi facultatem, ut nuper M Crassus negabat ullam satis magnam pecuniam esse ei, qui in re publica princeps vellet esse, cuius fructibus exercitum alere non posset

Delectant etiam magnifici apparatus vitaeque cultus cum elegantia et copia, quibus rebus effectum est, ut infinita pecuniae cupiditas esset; nec vero rei familiaris amplificatio nemini nocens vituperanda est, sed fugienda semper iniuria est
Ma la maggior parte degli uomini sono spinti a danneggiare gli altri per conquistare ciò che stimola in loro un intenso desiderio

E di questo la colpa massima è insita nell'avidità di denaro

Inoltre, la ricchezza si desidera, o per soddisfare i bisogni della vita, o per goderne i piaceri

Ma coloro che hanno un animo assai grande e progetti molto elevati, bramano e cercano il denaro per acquistar potenza e prestigio; come, non molto tempo fa, Marco Crasso affermava che nessuna ricchezza è abbastanza grande per chi voglia primeggiare nello Stato se, coi proventi di essa, egli non possa mantenere un esercito

Offrono godimento anche gli splendidi arredamenti, e un raffinato tenore di vita, ricco ed elegante; per tutte queste ragioni il desiderio della ricchezza non conosce limiti; e in verità, non merita biasimo il cercare d'accrescere il patrimonio domestico, quando non si nuoce ad alcuno; basta non commetter mai nessuna ingiustizia
Maxime autem adducuntur plerique, ut eos iustitiae capiat oblivio, cum in imperiorum, honorum, gloriae cupiditatem inciderunt

Quod enim est apud Ennium: Nulla sancta societa nec fides regni est, id latius patet

Nam quidquid eiusmodi est, in quo non possint plures excellere, in eo fit plerumque tanta contentio, ut difficillimum sit servare sanctam societatem

Declaravit id modo temeritas C Caesaris, qui omnia iura divina et humana pervertit propter eum, quem sibi ipse opinionis errore finxerat principatum

Est autem in hoc genere molestum, quod in maximis animis splendidissimisque ingeniis plerumque existunt honoris, imperii, potentiae, gloriae cupiditates

Quo magis cavendum est, ne quid in eo genere peccetur
Ma i più perdono ogni senso e ogni ricordo della giustizia, quando cadono in preda al desiderio del comando, degli onori e della gloria

Certo, quella sentenza di Ennio: La brama del regno non conosce né santità di affetti né integrità di fede ha un suo ben più vasto campo di applicazione

In verità, ogni stato e ogni grado che non ammetta supremazia di varie persone, diventa generalmente il campo di contese così aspre che è assai difficile rispettare la santità degli affetti

Chiara dimostrazione ne ha dato di recente la temeraria azione di Gaio Cesare che ha sovvertito tutte le leggi divine e umane per quel folle ideale di supremazia che egli s'era creato nella mente

E a questo riguardo è assai penoso vedere che sono gli animi più grandi e gl'ingegni più splendidi quelli in cui per lo più si accendono i desideri d'onori, di comando, di potenza e di gloria

Tanto maggiore cautela bisogna dunque usare per non commettere errori a questo riguardo

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Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01
Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Sed in omni iniustitia permultum interest, utrum perturbatione aliqua animi, quae plerumque brevis est et ad tempus, an consulto et cogitata fiat iniuria

Leviora enim sunt ea, quae repentino aliquo motu accidunt, quam ea, quae meditata et praeparata inferuntur

Ac de inferenda quidem iniuria satis dictum est

Praetermittendae autem defensionis deserendique officii plures solent esse causae

Nam aut inimicitias aut laborem aut sumptus suscipere nolunt aut etiam neglegentia, pigritia, inertia aut suis studiis quibusdam occupationibusve sic impediuntur, ut eos, quos tutari debeant, desertos esse patiantur
Ma in ogni sorta d'ingiustizia è molto importante considerare se l'offesa viene fatta a causa di un forte eccitamento dell'animo, che per lo più è breve e passeggero, o per meditato e deliberato proposito

Certo, sono più lievi le offese che prorompono da qualche improvvisa passione, che non quelle che si fanno con premeditazione e calcolo

E così del recare offesa ho detto abbastanza

Parecchie sono le ragioni che inducono gli uomini a trascurare l'altrui difesa, mancando così al proprio dovere

O non vogliono procurarsi inimicizie, fatiche, spese, oppure la negligenza, la pigrizia, l'inerzia, o anche certe loro particolari inclinazioni e occupazioni li trattengono in maniera che essi lasciano nell'abbandono quelli che invece essi avrebbero il dovere di proteggere
Itaque videndum est, ne non satis sit id, quod apud Platonem est in philosophos dictum, quod in veri investigatione versentur quodque ea, quae plerique vehementer expetant, de quibus inter se digladiari soleant, contemnant et pro nihilo putent, propterea iustos esse

Nam alterum [iustitiae genus] assequuntur, ut inferenda ne cui noceant iniuria, in alterum incidunt; discendi enim studio impediti, quos tueri debent, deserunt

Itaque eos ne ad rem publicam quidem accessuros putant nisi coactos

Aequius autem erat id voluntate fieri; nam hoc ipsum ita iustum est, quod recte fit, si est voluntarium

Temo pertanto che non soddisfi appieno ciò che Platone dice a proposito dei filosofi, cioè che essi sono giusti appunto perché, immersi nella ricerca del vero, tengono in poco e in nessun conto quelle cose che i più agognano con desiderio irrefrenabile, quelle cose per cui vogliono combattere tra loro persino con le armi

Infatti, se da un lato essi rispettano parzialmente la giustizia, in quanto non recano né danno né offesa ad alcuno, dall'altro essi la contrastano; infatti impediti dall'amore del sapere, abbandonano proprio quelli che essi hanno il dovere di proteggere

Proprio per tale motivo i seguaci di Platone ritengono che i filosofi non debbano neppure accostarsi alla vita pubblica, se non costretti

Molto meglio sarebbe, invece, che vi si accostassero spontaneamente; perché anche un'azione retta non è giusta se non è spontanea

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