Quamquam te, Marce fili, annum iam audientem Cratippum idque Athenis abundare oportet praeceptis institutisque philosophiae propter summam et doctoris auctoritatem et urbis, quorum alter te scientia augere potest, altera exemplis, tamen, ut ipse ad meam utilitatem semper cum Graecis Latina coniunxi neque id in philosophia solum, sed etiam in dicendi exercitatione feci, idem tibi censeo faciendum, ut par sis in utriusque orationis facultate Quam quidem ad rem nos, ut videmur, magnum attulimus adiumentum hominibus nostris, ut non modo Graecarum litterarum rudes, sed etiam docti aliquantum se arbitrentur adeptos et ad dicendum et ad iudicandum |
Marco, figlio mio, so bene che tu, ascoltando già da un anno le lezioni di Cratippo, e per di più in Atene, sei in possesso di un cospicuo bagaglio di precetti e dottrine filosofiche, grazie alla straordinaria autorità del maestro e della città, (l'uno può arricchirti di scienza, l'altra di esempi); tuttavia, come io per mia utilità ho sempre abbinato le lettere latine con le greche, e ciò non solo nel campo della filosofia, ma anche nella pratica dell'eloquenza, penso che tu debba fare altrettanto, per usare con uguale disinvoltura l'uno e l'altro idioma In questo campo io, se non m'inganno, ho dato un grande aiuto ai miei connazionali, al punto che non solo coloro che ignorano di lettere greche, ma anche i dotti ritengono d'aver raggiunto risultati non di poco conto nell'arte del ben parlare e del ben pensare |
Quam ob rem disces tu quidem a principe huius aetatis philosophorum et disces quam diu voles; tam diu autem velle debebis, quoad te quantum proficias non paenitebit, sed tamen nostra legens non multum a Peripateticis dissidentia, quoniam utrique Socratici et Platonici volumus esse, de rebus ipsis utere tuo iudicio--nihil enim impedio--orationem autem Latinam efficies profecto legendis nostris pleniorem Nec vero hoc arroganter dictum existimari velim Nam philosophandi scientiam concedens multis, quod est oratoris proprium, apte, distincte, ornate dicere, quoniam in eo studio aetatem consumpsi, si id mihi assumo, videor id meo iure quodam modo vindicare |
Tu riuscirai ad apprendere dal principe dei filosofi contemporanei, e apprenderai finché lo vorrai; dovrai volerlo fintanto che non sarai soddisfatto del tuo profitto; ma tuttavia, leggendo i miei scritti, che non discordano molto dai Peripatetici, giacché gli uni e gli altri vogliamo essere Socratici e Platonici, tu, quanto alle dottrine, userai liberamente il tuo giudizio personale (io non voglio impedirtelo affatto); ma leggendo le cose mie renderai certamente più sicuro e più ricco il tuo stile latino E non vorrei che questa mia affermazione fosse ritenuta presuntuosa Difatti, pur ammettendo che molti hanno la capacità di filosofare, se io rivendico a me ciò che è proprio dell'oratore, cioè il parlare con proprietà, con chiarezza, con eleganza, credo di poterlo fare in certo qual modo con pieno diritto, giacché a questo lavoro io ho dedicato tutta la mia vita |
Quam ob rem magnopere te hortor, mi Cicero, ut non solum orationes meas, sed hos etiam de philosophia libros, qui iam illis fere se aequarunt, studiose legas,--vis enim maior in illis dicendi,--sed hoc quoque colendum est aequabile et temperatum orationis genus Et id quidem nemini video Graecorum adhuc contigisse, ut idem utroque in genere elaboraret sequereturque et illud forense dicendi et hoc quietum disputandi genus, nisi forte Demetrius Phalereus in hoc numero haberi potest, disputator subtilis, orator parum vehemens, dulcis tamen, ut Theophrasti discipulum possis agnoscere Nos autem quantum in utroque profecerimus, aliorum sit iudicium, utrumque certe secuti sumus |
Perciò ti esorto vivamente, o mio Cicerone, a leggere con amore non solo le mie orazioni, ma anche questi miei libri filosofici, che ormai le uguagliano per mole e per numero: certo in quelle vi è un maggior vigore di stile, ma è ben degno d'esser coltivato questo mio stile di scrittura piana e pacata Francamente, a quanto mi è dato di vedere, nessuno dei Greci ha avuto finora la fortuna di riuscire allo stesso modo nell'uno e nell'altro genere, coltivando a un tempo quel genere che è proprio del foro, e questo, più tranquillo, che è proprio del ragionare, anche se non si può includere nel numero di costoro Demetrio di Falereo, ragionatore sottile, oratore poco vigoroso, ma tuttavia piacevole, per cui si può riconoscere in lui un discepolo di Teofrasto Quanto a me, quale sia stato il mio contributo nell'uno e nell'altro genere, non sta a me giudicare; in realtà io ho praticato entrambi i generi |
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Equidem et Platonem existimo si genus forense dicendi tractare voluisset, gravissime et copiosissime potuisse dicere et Demosthenem si illa, quae a Platone didicerat, tenuisset et pronuntiare voluisset, ornate splendideque facere potuisse; eodemque modo de Aristotele et Isocrate iudico, quorum uterque suo studio delectatus contempsit alterum Sed cum statuissem scribere ad te aliquid hoc tempore, multa posthac, ab eo ordiri maxime volui, quod et aetati tuae esset aptissimum et auctoritati meae Nam cum multa sint in philosophia et gravia et utilia accurate copioseque a philosophis disputata, latissime patere videntur ea quae de officiis tradita ab illis et praecepta sunt |
Personalmente sono convinto che Platone, se avesse voluto trattare il genere forense, sarebbe diventato un potentissimo ed eloquentissimo oratore, e che Demostene, se avesse assimilato del tutto le dottrine apprese da Platone, e avesse voluto esporle, l'avrebbe fatto con molta eleganza e splendore; e lo stesso giudizio esprimo su Aristotele e Isocrate; purtroppo sia l'uno che l'altro, innamorato ciascuno della propria disciplina, tenne in poco conto quella dell'altro Ora, avendo io stabilito di scrivere per te qualche cosa in questo periodo e molte altre in avvenire, ho voluto prendere le mosse proprio da quell'argomento che più si addice e all'età tua e alla mia autorità Difatti, tra le molte questioni filosofiche, importanti ed utili, trattate con grande attenzione e ampiezza dai filosofi, a parer mio quelli che hanno la più larga e vasta applicazione sono gli insegnamenti e i precetti tramandati da essi intorno ai doveri |
Nulla enim vitae pars neque publicis neque privatis neque forensibus neque domesticis in rebus, neque si tecum agas quid, neque si cum altero contrahas, vacare officio potest in eoque et colendo sita vitae est honestas omnis et neglegendo turpitudo Atque haec quidem quaestio communis est omnium philosophorum ; quis est enim, qui nullis officii praeceptis tradendis philosophum se audeat dicere Sed sunt non nullae disciplinae, quae propositis bonorum et malorum finibus officium omne pervertant |
In verità, non c'è momento della vita - sia negli affari pubblici che nei privati, sia nei forensi che nei domestici, sia che tu tratti qualcosa per tuo conto sia che tu abbia che fare con altri - non c'è momento che si sottragga al dovere anzi, così come nell'adempimento del dovere consiste tutta l'onestà della vita, nell'inosservanza di esso risiede tutta la disonestà E questo problema è comune a tutti i filosofi: infatti chi è che potrebbe definirsi filosofo, senza dare alcun precetto d'ordine morale Ma ci sono alcune dottrine che, con la loro definizione del sommo bene e del sommo male, sovvertono ogni concetto del dovere |
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Nam qui summum bonum sic instituit, ut nihil habeat cum virtute coniunctum, idque suis commodis, non honestate metitur, hic, si sibi ipse consentiat et non interdum naturae bonitate vincatur, neque amicitiam colere possit nec iustitiam nec liberalitatem; fortis vero dolorem summum malum iudicans aut temperans voluptatem summum bonum statuens esse certe nullo modo potest Quae quamquam ita sint in promptu, ut res disputatione non egeat, tamen sunt a nobis alio loco disputata Hae disciplinae igitur si sibi consentaneae velint esse, de officio nihil queant dicere, neque ulla officii praecepta firma, stabilia, coniuncta naturae tradi possunt, nisi aut ab iis, qui solam, aut ab iis, qui maxime honestatem propter se dicant expetendam |
Chi, difatti, definisce il sommo bene come del tutto disgiunto dalla virtù, e lo misura non col criterio dell'onestà, ma con quello del proprio vantaggio, costui, se vuol esser coerente con se stesso, e non è trascinato talora dalla bontà della propria indole, non potrà praticare né l'amicizia, né la giustizia, né la generosità: certo non può essere in alcun modo forte, giudicando il dolore il male peggiore, né temperante, ponendo come sommo bene il piacere E benché questi principi siano così evidenti, che non hanno bisogno di alcuna dimostrazione, io li ho ampiamente discussi altrove Queste dottrine, dunque, se volessero essere coerenti con se stesse, non potrebbero dire nulla intorno al dovere: nessun precetto morale, saldo, stabile, conforme a natura, può esser impartito se non da chi afferma che o soltanto l'onestà o soprattutto l'onestà deve essere perseguita per se stessa |
Ita propria est ea praeceptio Stoicorum, Academicorum, Peripateticorum, quoniam Aristonis, Pyrrhonis, Erilli iam pridem explosa sententia est Qui tamen haberent ius suum disputandi de officio, si rerum aliquem dilectum reliquissent, ut ad officii inventionem aditus esset Sequemur igitur hoc quidem tempore et hac in quaestione potissimum Stoicos, non ut interpretes, sed, ut solemus, e fontibus eorum iudicio arbitrioque nostro quantum quoque modo videbitur, hauriemus Placet igitur, quoniam omnis disputatio de officio futura est, ante definire, quid sit officium, quod a Panaetio praetermissum esse miror Omnis enim, quae a ratione suscipitur de aliqua re institutio, debet a definitione proficisci, ut intellegatur, quid sit id de quo disputetur |
Ora, un tale insegnamento è proprio degli Stoici, degli Accademici e dei Peripatetici, dal momento che la dottrina di Aristone, di Pirrone e di Erillo è ormai rifiutata da tempo E tuttavia anche costoro avrebbero il loro buon diritto di discutere del dovere, se avessero lasciato una qualche scelta tra le cose umane, sì che fosse aperta la via alla scoperta del concetto di dovere In questa occasione e in questa questione, dunque, io seguo principalmente gli Stoici, non già come semplice traduttore, ma, secondo il mio costume, attingendo da essi, come fonte, con piena e intera libertà di giudizio, quanto e come mi parrà opportuno Ora, poiché tutto il mio ragionamento si svolgerà intorno al dovere, mi piace definire innanzi tutto l'essenza del dovere; e mi meraviglio che Panezio abbia trascurato questo punto Ogni trattazione, infatti, che la ragione intraprende metodicamente su qualche argomento, dovrebbe partire dalla definizione, perché ben si comprenda qual è l'oggetto di cui si discute |
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Omnis de officio duplex est quaestio: unum genus est, quod pertinet ad finem bonorum, alterum, quod positum est in praeceptis, quibus in omnes partes usus vitae conformari possit: omniane officia perfecta sint Superioris generis huiusmodi sunt exempla Num quod officium aliud alio maius sit et quae sunt generis eiusdem Quorum autem officiorum praecepta traduntur, ea quamquam pertinent ad finem bonorum, tamen minus id apparet, quia magis ad institutionem vitae communis spectare videntur; de quibus est nobis his libris explicandum Atque etiam alia divisio est officii Nam et medium quoddam officium dicitur et perfectum Perfectum officium rectum, opinor, vocemus, quoniam Graeci katorthoma, hoc autem commune officium kathekon vocant |
Tutta la questione riguardante il dovere consta di due parti: l'una, (teorica), che riguarda il concetto del sommo bene; l'altra, (pratica), che consiste nei precetti che devono regolare la condotta della vita in tutti i suoi aspetti; alla prima appartengono questioni di tal genere: i doveri sono tutti assoluti Ci sono doveri più importanti di altri doveri e così via, con l'aiuto di esempi Quanto poi a quei doveri, per i quali si possono dare norme pratiche, riguardano bensì anch'essi il sommo bene, ma tuttavia questo loro carattere è meno evidente, perché, a quanto pare, essi mirano piuttosto a regolare la vita comune di tutti i giorni; ebbene, sono appunto questi i doveri che io spiegherò in questi libri Ma c'è anche un'altra suddivisione del dovere C'è infatti il così detto dovere intermedio o relativo e c'è quello che si chiama assoluto Il dovere assoluto possiamo anche chiamarlo, se non erro, perfetto, poiché i Greci lo chiamano katorthoma, mentre chiamano kathekon il dovere relativo |
Atque ea sic definiunt, ut rectum quod sit, id officium perfectum esse definiant; medium autem officium id esse dicunt, quod cur factum sit, ratio probabilis reddi possit Triplex igitur est, ut Panaetio videtur, consilii capiendi deliberatio Nam aut honestumne factu sit an turpe dubitant id, quod in deliberationem cadit; in quo considerando saepe animi in contrarias sententias distrahuntur Tum autem aut anquirunt aut consultant ad vitae commoditatem iucunditatemque, ad facultates rerum atque copias, ad opes, ad potentiam, quibus et se possint iuvare et suos, conducat id necne, de quo deliberant; quae deliberatio omnis in rationem utilitatis cadit |
E dei due doveri essi danno questa definizione: definiscono dovere assoluto l'assoluta rettitudine, mentre chiamano dovere relativo quello del cui adempimento si può fornire una ragione plausibile Tre punti si devono quindi considerare, secondo Panezio, nel prendere una decisione Prima di tutto ci si pone il quesito se sia onesto o disonesto da mettere in pratica, quello che è oggetto della nostra decisione; e appunto in questa indagine spesso gli animi si dividono in opposti pareri Poi si studia o si riflette attentamente, se ciò che si decide giovi, o no, alla comodità e alla piacevolezza della vita, agli averi, agli agi, al prestigio, al potere, tutte cose utili a noi e ai nostri familiari; e questa valutazione rientra tutta nell'ambito dell'utilità |
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Tertium dubitandi genus est, cum pugnare videtur cum honesto id, quod videtur esse utile: cum enim utilitas ad se rapere, honestas contra revocare ad se videtur, fit ut distrahatur in deliberando animus afferatque ancipitem curam cogitandi Hac divisione, cum praeterire aliquid maximum vitium in dividendo sit, duo praetermissa sunt: nec enim solum, utrum honestum an turpe sit, deliberari solet, sed etiam duobus propositis honestis utrum honestius, itemque duobus propositis utilibus utrum utilius Ita quam ille triplicem putavit esse rationem in quinque partes distribui debere reperitur Primum igitur est de honesto, sed dupliciter, tum pari ratione de utili, post de comparatione eorum disserendum |
La terza specie di dubbio si ha quando ciò che sembra utile entra in conflitto con l'onesto: quando pare, infatti, che per un verso l'utilità ci trascini a sé e l'onestà per contro ci richiami a sé, allora l'animo nel prendere una decisione si divide e produce una profonda incertezza nel pensiero Ora, questa divisione, benché sia gravissimo difetto trascurare qualcosa nel valutare un argomento, trascura ben due elementi: giacché non si è soliti, difatti, decidere soltanto se un obiettivo sia onesto o disonesto, ma, posti dinanzi a due obiettivi onesti, decidere anche quale dei due sia più onesto; e allo stesso modo, postici innanzi due obiettivi utili, decidere quale dei due sia più utile Si trova così che quella materia, che Panezio ritenne di natura triplice, deve invece distribuirsi in cinque parti Prima di tutto, dunque, si dovrà ragionare dell'onestà, ma sotto due aspetti; poi, con lo stesso metodo, dell'utile; infine si dovranno confrontare tra loro questi due principi |