[12] Quid enim necesse est, tamquam meretricem in matronarum coetum, sic voluptatem in virtutum concilium adducere Invidiosum nomen est, infame, suspectum Itaque hoc frequenter dici solet a vobis, non intellegere nos, quam dicat Epicurus voluptatem Quod quidem mihi si quando dictum estest autem dictum non parum saepe, etsi satis clemens sum in disputando, tamen interdum soleo subirasci Egone non intellego, quid sit edonè Graece, Latine voluptas Utram tandem linguam nescio Deinde qui fit, ut ego nesciam, sciant omnes, quicumque Epicurei esse voluerunt Quod vestri quidem vel optime disputant, nihil opus esse eum, qui philosophus futurus sit, scire litteras Itaque ut maiores nostri ab aratro adduxerunt Cincinnatum illum, ut dictator esset, sic vos de pagis omnibus colligitis bonos illos quidem viros, sed certe non pereruditos |
[12] Che bisogno cè di far entrare il piacere nel consesso delle virtù come una prostituta in una riunione di signore per bene Il nome è odioso, malfamato, sospetto Per questo voi solete dire spesso che noi non comprendiamo quale piacere intenda Epicuro E se mi càpita di sentirmi fare tale osservazione (e mi è stata fatta più di una volta), anche se sono abbastanza indulgente nella discussione, talora tuttavia me ne risento Io non capire che significa edoné in greco e voluptas in latino Quale mai delle due lingue non conosco E poi, come va che io non lo so, e lo sanno tutti quelli che han voluto essere Epicurei Daltra parte sono appunto i vostri a sostenere con ottimi argomenti che non è affatto necessaria una cultura letteraria per chi diveuterà filosofo Pertanto, come i nostri antenati trassero dallaratro il famoso Cincinnato per farlo dittatore, cosi voi da tutti i villaggi raccogliete quelle persone, brava gente si, ma non certo molto istruita |
[13] Ergo illi intellegunt quid Epicurus dicat, ego non intellego Ut scias me intellegere, primum idem esse dico voluptatem, quod ille edonèn Et quidem saepe quaerimus verbum Latinum par Graeco et quod idem valeat; hic nihil fuit, quod quaereremus Nullum inveniri verbum potest quod magis idem declaret Latine, quod Graece, quam declarat voluptas Huic verbo omnes, qui ubique sunt, qui Latine sciunt, duas res subiciunt, laetitiam in animo, commotionem suavem iucunditatis in corpore Nam et ille apud Trabeam 'voluptatem animi nimiam' laetitiam dicit eandem, quam ille Caecilianus, qui 'omnibus laetitiis laetum' esse se narrat |
[13] Dunque quelli capiscono che cosa dice Epicuro ed io no Per farti sapere che io capisco, anzitutto dico che valufttas equivale al termine hedoné da lui usato Appunto cerchiamo spesso un termine latino corrispondente a quello greco e che gli sia equivalente: qui non cè stato nulla da cercare Non si può trovare nessuna parola che esprima in latino lequivalente del greco meglio che voluptas A questa parola tutte le persone al mondo che sanno il latino dànno due significati: letizia, quando è riferita allanima; impressione dolce di piacevolezza, quando è riferita al corpo E difatti quel personaggio di Trabea parlando di eccessivo piacere dellanima intende la medesima letizia di quellaltro di Cecilio che dice di essere lieto di tutte le letizie |
Sed hoc interest, quod voluptas dicitur etiam in animovitiosa res, ut Stoici putant, qui eam sic definiunt: sublationem animi sine ratione opinantis se magno bono frui, non dicitur laetitia nec gaudium in corpore [14] In eo autem voluptas omnium Latine loquentium more ponitur, cum percipitur ea, quae sensum aliquem moveat, iucunditas |
Ma cè questa differenza: si dice piacere anche per lanima (ed è un vizio secondo gli Stoici, che ne dànno la seguente definizione: una elevazione irrazionale dellanima che crede di fruire di un grande bene) , ma non si dice letizia nd gioia per il corpo [14]Per questultimo, nelluso comune di tutti quelli che parlano latino, si impiega il tennine piacere, quando si ha una percezione piacevole che impressiona qualche senso |
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Hanc quoque iucunditatem, si vis, transfer in animum; iuvare enim in utroque dicitur, ex eoque iucundum, modo intellegas inter illum, qui dicat: 'Tanta laetitia auctus sum, ut nihil constet', et eum, qui: 'Nunc demum mihi animus ardet', quorum alter laetitia gestiat, alter dolore crucietur, esse illum medium: 'Quamquam haec inter nos nuper notitia admodum est', qui nec laetetur nec angatur, itemque inter eum, qui potiatur corporis expetitis voluptatibus, et eum, qui crucietur summis doloribus, esse eum, qui utroque careat [5, 15] Satisne igitur videor vim verborum tenere, an sum etiam nunc vel Graece loqui vel Latine docendus Et tamen vide, ne, si ego non intellegam quid Epicurus loquatur, cum Graece, ut videor, luculenter sciam, sit aliqua culpa eius, qui ita loquatur, ut non intellegatur |
Trasferisci, se vuoi, anche questa percezione piacevole ovvero giocondità allanima (per entrambi infatti si usa lespressione giovare, e di qui deriva giocondo ), purché ti renda conto che fra chi dice: ora appunto il mio animo arde , di cui luno esulta di letizia e laltro è tormentato dal dolore, cè lo stato intermedio di chi dice: per quanto questa nostra conoscenza sia molto recente , il quale nè si allieta nè si cruccia,e parimenti fra chi ottiene i bramati piaceri del corpo e chi si tormenta per estremi dolori cè chi è fuori da entrambe le condizioni [5, 15] Ti par dunque chio capisca abbastanza il valore delle parole o devo ancora imparare a parlar greco o latino Tuttavia, se io non capisco che vuoi dire Epicuro, visto che so benissimo il greco, bada che non ne abbia qualche colpa lui, che parla in modo da non essere capito |
Quod duobus modis sine reprehensione fit, si aut de industria facias, ut Heraclitus, 'cognomento qui skoteinòs perhibetur, quia de natura nimis obscure memoravit', aut cum rerum obscuritas, non verborum, facit ut non intellegatur oratio, qualis est in Timaeo Platonis Epicurus autem, ut opinor, nec non vult, si possit, plane et aperte loqui, nec de re obscura, ut physici, aut artificiosa, ut mathematici, sed de illustri et facili et iam in vulgus pervagata loquitur Quamquam non negatis nos intellegere quid sit voluptas, sed quid ille dicat E quo efficitur, non ut nos non intellegamus quae vis sit istius verbi, sed ut ille suo more loquatur, nostrum neglegat |
Ciò si può verificare, senza dar luogo a critiche, in due modi: o lo si fa a bella posta, come Eraclito che vien ricordato con il soprannome di skoteinòs perché con eccessiva oscurità trattò della natura , oppure loscurità del soggetto, non delle parole, rende incomprensibile il discorso, come càpita nel Tirneo di Platone Ma nel caso di Epicuro, non è, credo, chegli non voglia, potendo, parlare in modo semplice e chiaro, e neppure che parli di un argomento oscuro, come i naturalisti, o complicato, come i matematici: egli tratta invece un soggetto manifesto, facile, di conoscenza ormai comune Per quanto, voi non dite che noi non comprendiamo che cosa è il piacere, ma che cosa dice lui Ne consegue che non siamo noi a non capire il valore di codesta parola, ma è lui che parla alla sua maniera, trascurando la nostra |
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[16] Si enim idem dicit, quod Hieronymus, qui censet summum bonum esse sine ulla molestia vivere, cur mavult dicere voluptatem quam vacuitatem doloris, ut ille facit, qui quid dicat intellegit Sin autem voluptatem putat adiungendam eam, quae sit in motusic enim appellat hanc dulcem: 'in motu', illam nihil dolentis 'in stabilitate', quid tendit Cum efficere non possit ut cuiquam, qui ipse sibi notus sit, hoc est qui suam naturam sensumque perspexerit, vacuitas doloris et voluptas idem esse videatur Hoc est vim afferre, Torquate, sensibus, extorquere ex animis cognitiones verborum, quibus inbuti sumus Quis enim est, qui non videat haec esse in natura rerum tria |
[16] Se la sua asserzione equivale a quella di leronimo, che fa consistere il sommo bene nel vivere senza alcun dispiacere, perché preferisce dire piacere piuttosto che assenza di dolore, come fa quello, che capisce cosa dice Se invece ritiene che si debba aggiungere quel piacere che è in movimento (così infatti egli chiama quello che dà unimpressione piacevole, in movimento; mentre laltro, di chi non sente dolore, in posizione stabile ), a che mira Giacché non può ottenere il risultato che uno che conosca se stesso, vale a dire abbia indagato sulla propria natura e sensibilità, si convinca dellidentità fra assenza di dolore e piacere Questo, o Torquato, si chiama far violenza ai sensi, strappare dallanima la nozione che abbiamo delle parole Chi vè infatti che non vede che vi sono in natura questi tre stati |
Unum, cum in voluptate sumus, alterum, cum in dolore, tertium hoc, in quo nunc equidem sum, credo item vos, nec in dolore nec in voluptate; ut in voluptate sit, qui epuletur, in dolore, qui torqueatur Tu autem inter haec tantam multitudinem hominum interiectam non vides nec laetantium nec dolentium [17] Non prorsus, inquit, omnisque, qui sine dolore sint, in voluptate, et ea quidem summa, esse dico Ergo in eadem voluptate eum, qui alteri misceat mulsum ipse non sitiens, et eum, qui illud sitiens bibat |
Primo: provar piacere; secondo: provar dolore; terzo, in cui mi trovo io ora e credo pure voi: non provare né dolore nè piacere; cosicchè, prova piacere chi banchetta, dolorechi è torturato E tu non vedi che fra questi due estremi è frapposta sì grande folla di uomini che né gioiscono né si dolgono [17] No davvero, e sostengo che chiunque è privo di dolore prova piacere, e il più grande dei piaceri Quindi prova il medesimo piacere chi mesce ad un altro vino melato senza aver sete egli stesso, e chi lo beve avendo sete |