Mastro Titta, il boia di Roma che raggiunse la quota di 514 giustiziati

Mastro Titta, il boia di Roma che raggiunse la quota di 514 giustiziati

Soprannome di Giovanni Battista Bugatti, nato a Senigallia il 6 marzo 1779 e morì a Roma il 18 giugno 1869. Ufficialmente il suo mestiere era quello di verniciatore di ombrelli, ma in realtà era il boia dello Stato Pontificio, il "maestro di giustizia", da cui il termine Mastro, mentre Titta è un diminutivo del suo nome

Noto anche come er boja de Roma, iniziò la sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte il 22 marzo 1796 sotto il pontificato di Papa Pio IV e fino al 17 agosto 1864 con Pio IX. Quando andò in pensione gli venne riconosciuto un vitalizio mensile di trenta scudi e fu sostituito dal suo aiutante Vincenzo Balducci. Raggiunse la quota di 514 giustiziati, anche se sul taccuino che Bugatti trascrisse meticolosamente ne furono annotati 516: dal conto vengono sottratti due condannati:

  1. uno perché fucilato
  2. l'altro perché impiccato e squartato dall'aiutante

La sua attività ebbe una piccola tregua, durata qualche mese, quando nel 1849 la repubblica romana di Mazzini spodestò il papa e abolì la pena di morte. Dopo l'interferenza di Napoleone III e la restaurazione del potere temporale di Pio IX tuttavia le cose tornarono come prima.

Mantello e cappuccio appartenuto al boia dello Stato pontificio Giambattista bugatt Mantello e cappuccio appartenuto al boia dello Stato pontificio Giambattista bugatt

PER LA SUA INCOLUMITA' NON POTEVA ATTRAVERSARE IL TEVERE MA...

L'uomo non era certamente amato dai suoi concittadini, per cui viveva in una sorta di domicilio forzato all'interno della cinta Vaticana, sulla riva destra del Tevere, al numero 2 di vicolo del campanile, anzi gli era addirittura vietato, per prudenza recarsi nel centro della città, dall'altro lato del Tevere. Ma a Roma le esecuzioni capitali pubbliche e decretate dal Papa, soprattutto quelle "esemplari" per il popolo, non avvenivano a Borgo, ma sull'altra sponda del Tevere; quindi in eccezione al divieto il Bugatti doveva attraversare Ponte Sant'Angelo per andare a prestare i suoi servigi. Prima di ogni esecuzione Mastro Titta si confessava, poi indossava il mantello rosso e si recava a compiere l'opera; anzi quando mazzolava, impiccava, squartava o decapitava, il boia operava con uguale abilità e spesso andava a svolgere la sua attività anche nelle province del territorio dello Stato Pontificio. Dinanzi a tali spettacoli si radunava non soltanto il popolo ma anche poeti e scrittori. 

Pur professando uno dei mestieri più orribili, Mastro Titta faceva il suo dovere con distacco e professionalità, tanto che a volte era uso offrire ai condannati un'ultima presa di tabacco o un sorso di vino, quasi a volerli rassicurare sulla sua professionalità. Le tecniche comprendevano:

  •  l'impiccagione
  • il mazzolamento (cioè l'uccisione con un preciso colpo di mazza)
  • la decapitazione a mezzo ghigliottina (prima della Rivoluzione francese si usava un semplice colpo d'ascia)
  • e persino lo squartamento; quest'ultima era una pena aggiuntiva, combinata ai rei di crimini particolarmente efferati, come l'omicidio di un prelato, e veniva inflitta dopo l'uccisione, al corpo ormai privo di vita con successiva affissione dei quarti smembrati ai quattro angoli del patibolo