Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 03, pag 2

Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 03

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 01 - Parte 03
Namque et in Lysandri, qui Lacedaemoniorum clarissumus fuerat, statua, quae Delphis stabat, in capite corona subito exstitit ex asperis herbis et agrestibus, stellaeque aureae quae Delphis erant a Lacedaemoniis positae post navalem illam victoriam Lysandri qua Athenienses conciderunt, qua in pugna quia Castor et Pollux cum Lacedaemoniorum classe visi esse dicebantur, - eorum insignia deorum, stellae aureae, quas dixi, Delphis positae, paulo ante Leuctricam pugnam deciderunt neque repertae sunt

Maximum vero illud portentum isdem Spartiatis fuit, quod, cum oraclum ab love Dodonaeo petivissent de victoria sciscitantes legatique [vas] illud in quo inerant sortes collocavissent, simia, quam rex Molossorum in deliciis habebat, et sortes ipsas et cetera quae erant ad sortem parata disturbavit et aliud alio dissupavit
C'era a Delfi una statua di Lisandro, il più famoso degli spartani; sulla testa della statua comparve all'improvviso una corona di erbe spinose e selvatiche; e le stelle d'oro che erano state poste a Delfi dagli spartani dopo la famosa vittoria navale riportata da Lisandro, che segnò la rovina degli ateniesi, giacché si diceva che in quella battaglia Càstore e Pollùce erano apparsi dalla parte della flotta spartana, - le stelle d'oro che ho detto, dunque, poste a Delfi come insegne di quegli dèi, caddero giù poco prima della battaglia di Leuttra e non si ritrovarono più

Ma il prodigio più grave, ancora a danno degli spartani, fu quest'altro: quando chiesero un responso a Giove dodonèo per sapere se avrebbero vinto, e i messi ebbero collocato al suo posto il recipiente in cui si trovavano le sorti, una scimmia, che il re dei molossi aveva molto cara, scompigliò e buttò qua e là le sorti e tutti gli altri oggetti che erano stati portati per compiere il sorteggio
Tum ea, quae praeposita erat oraclo, sacerdos dixisse dicitur de salute Lacedaemoniis esse, non de victoria cogitandum

Bello Punico secundo nonne C Flaminius, consul iterum, neglexit signa rerum futurarum magna cum clade rei publicae

Qui exercitu lustrato cum Arretium versus castra movisset et contra Hannibalem legiones duceret, et ipse et equus eius ante signum lovis Statoris sine causa repente concidit nec eam rem habuit religioni, obiecto signo, ut peritis videbatur, ne committeret proelium

Idem, cum tripudio auspicaretur, pullarius diem proelii committendi differebat

Tum Flaminius ex eo quaesivit, si ne postea quidem pulli pascerentur, quid faciendum censeret

Cum ille quiescendum respondisset

Flaminius: Praeclara vero auspicia
Si narra che allora la sacerdotessa preposta all'oracolo disse che gli spartani avrebbero dovuto pensare alla loro salvezza, non alla vittoria

E nella seconda guerra punica Gaio Flaminio, console per la seconda volta, non trascurò i presagi del futuro, con grande sventura della repubblica

Dopo che ebbe compiuto la cerimonia di purificazione dell'esercito, avendo intrapreso la marcia in direzione di Arezzo per condurre le sue legioni contro Annibale, ecco che egli stesso e il suo cavallo caddero tutt'a un tratto senza alcuna causa dinanzi alla statua di Giove Statore; gli esperti giudicarono che questo segno doveva dissuaderlo dal dare battaglia, ma egli non si fece alcuno scrupolo di ciò

Poi, quando prese gli auspicii mediante il tripudium, fu consigliato dal pullario a rimandare il giorno del combattimento

Flaminio allora gli domandò: Se nemmeno in seguito i polli avranno voglia di mangiare, che cosa ritieni che si dovrà fare

Il pullario rispose che si sarebbe dovuto stare ancora fermi

E Flaminio: Belli davvero questi auspicii
si esurientibus pullis res geri poterit, saturis nihil geretur

Itaque signa convelli et se sequi iussit

Quo tempore cum signifer primi hastati signum non posset movere loco, nec quicquam proficeretur plures cum accederent, Flaminius re nuntiata suo more neglexit

Itaque tribus iis horis concisus exercitus atque ipse interfectus est

Magnum illud etiam, quod addidit Coelius, eo tempore ipso, cum hoc calamitosum proelium fìeret, tantos terrae motus in Liguribus, Gallia compluribusque insulis totaque in Italia factos esse, ut multa oppida conruerint, multis locis labes factae sint terraeque desiderint fluminaque in contrarias partes fluxerint atque in amnes mare influxerit

Fiunt certae divinationum coniecturae a peritis
Quando i polli avranno fame si potrà dar battaglia, quando saranno sazi non si potrà far più nulla

Ordinò dunque che si svellessero dal suolo le insegne e lo si seguisse

Il portatore dell'insegna del primo manipolo di astati non riuscì a smuovere l'insegna, nemmeno con l'aiuto di parecchi altri; Flaminio, quando ciò gli fu annunziato, secondo il suo solito non si curò del prodigio

E così in quelle tre terribili ore l'esercito fu trucidato e Flaminio stesso fu ucciso

importante anche quello che aggiunge Celio: proprio nel tempo in cui si svolgeva quella disastrosa battaglia, vi furono in Liguria, in Gallia, in parecchie isole e in tutta l'Italia terremoti così forti che molte città furono distrutte, in molte località avvennero frane e sprofondamenti del suolo, i fiumi invertirono il loro corso, il mare penetrò nei corsi d'acqua

Gli esperti sono capaci di prevedere spesso con certezza il futuro

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 05
Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 05

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 05

Midae illi Phrygi, cum puer esset, dormienti formicae in os tritici grana congesserunt

Divitissumum fore praedictum est; quod evenit

At Platoni cum in cunis parvulo dormienti apes in labellis consedissent, responsum est singolari illum suavitate orationis fore: ita futura eloquente provisa in infante est

Quid, amores ac deliciae tuae, Roscius, num aut ipse aut pro eo Lanuvium totum mentiebatur

Qui cum esset in cunabulis educareturque in Solonio, qui est campus agri Lanuvini, noctu lumine apposito experrecta nutrix animadvertit puerum dormientem circumplicatum serpentis amplexu

Quo aspectu exterrita clamorem sustulit

Pater autem Rosci ad haruspices rettulit, qui responderunt nihil illo pucro clarius, nihil nobilius fore
A quel famoso Mida frigio, ancora bambino, delle formiche ammucchiarono in bocca, mentre dormiva, chicchi di grano

Fu predetto che sarebbe divenuto ricchissimo; e la predizione si avverò

Ma a Platone, da piccolo, delle api si posarono sulle labbra mentre dormiva in culla; gli indovini dettero il responso che egli sarebbe stato dotato di straordinaria dolcezza di eloquio: così la sua eloquenza futura fu prevista quando era ancora un neonato

E Roscio, da te tanto amato e ammirato, mentiva egli stesso o mentiva per lui tutta Lanuvio

Era ancora in culla ed era allevato nel Solonio, che è una località campestre presso Lanuvio; di notte, la sua nutrice si svegliò (una lampada accanto faceva luce), e vide che il bambino addormentato era avvolto entro le spire di un serpente

Atterrita da quella vista, lanciò un grido

Il padre di Roscio riferì la cosa agli arùspici, i quali risposero che nulla al mondo sarebbe stato più insigne, più famoso di quel bambino
Atque hanc speciem Pasiteles caelavit argento et noster expressit Archias versibus

Quid igitur expectamus

An dum in foro nobiscum di immortales, dum in viis versentur, dum domi

Qui quidem ipsi se nobis non offerunt, vim autem suam longe lateque diffundunt, quam tum terrae cavernis includunt, tum hominum naturis implicant

Nam terrae vis Pythiam Delphis incitabat, naturae Sibyllam

Quid enim, non videmus quam sint varia terrarum genera

Ex quibus et mortifera quaedam pars est, ut et Ampsancti in Hirpinis et in Asia Plutonia quae vidimus, et sunt partes agrorum aliae pestilentes, aliae salubres, aliae quae acuta ingenia gignant, aliae quae retusa: quac omnia fiunt et ex caeli varietate et ex disparili adspiratione terrarum
E questa scena Pasitele la cesellò in argento e il nostro Archia la narrò in poesia

Che cosa aspettiamo, dunque

Che gli dèi immortali s'intrattengano con noi nel fòro, per la strada, in casa

Certo, essi non si presentano a noi direttamente, ma diffondono per lungo e per largo il loro influsso; e ora lo immettono negli antri sotterranei, ora lo infondono in anime umane

La forza della terra ispirava la Pizia a Delfi, la forza della sua stessa indole incitava la Sibilla

E non vediamo dunque quanto varii siano i tipi di terra

Ve ne sono di mortiferi, come Ampsancto in Irpinia e i Plutonia che io ho visto in Asia; vi sono plaghe, alcune pestifere, altre salubri; in alcune nascono uomini di ingegno acuto, in altre ottuso; tutto ciò dipende sia dalla diversità dei climi, sia dalle differenti esalazioni dei terreni

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Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 02
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Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 01 - Parte 02

Fit etiam saepe specie quadam, saepe vocum gravitate et cantibus, ut pellantur animi vehementius, saepe etiam cura et timore, qualis est illa flexanima tamquam lymphata aut Bacchi sacriscommota in tumulis Teucrum commemorans suum

Atque etiam illa concitatio declarat vini in animis esse divinam

Negat enim sine furore Democritus quemquam poetam magnum esse posse, quod idem dicit Plato

Quem, si placet, appellet furorem, dum modo is furor ita laudetur ut in Phaedro [Platonis] laudatus est

Quid, vestra oratio in causis, quid,ipsa actio potest esse vehemens et gravis et copiosa, nisi est animus ipse commotior

Equidem etiam in te saepe vidi et, ut ad leviora veniamus, in Aesopo, familiari tuo, tantum ardorem vultuum atque motuum, ut eum vis quaedam abstraxisse a sensu mentis videretur
Avviene anche che spesso per qualche apparizione, spesso per voci profonde o canti, l'animo umano subisca una particolare eccitazione; spesso anche per ansia e timore, come quella con l'animo sconvolto, come invasata o scossa dal furore dei riti bacchici, su per i colli, invocando il suo Teucro

E anche quell'esaltazione dimostra che nell'anima c'è una forza divina

Democrito, in effetti, sostiene che nessuno può essere un grande poeta senza una specie di follìa, e la stessa cosa dice Platone

La chiami pure follia, purché ne venga fatto un elogio come nel Fedro

D'altronde, i discorsi di voi oratori nei processi, i vostri gesti stessi, possono essere veementi, elevati, eloquenti, se anche l'animo di chi parla non è alquanto commosso

In verità, spesso ho veduto in te, o, per passare a un genere meno solenne, nel tuo amico Esopo un tale ardore di espressioni del volto e di movimento, che si sarebbe detto che una forza misteriosa lo avesse tratto fuori dalla piena consapevolezza di sé
Obiciuntur etiam saepe formae, quae reapse nullae sunt; speciem autem offerunt; quod contigisse Brenno dicitur eiusque Gallicis copiis, cum fano Apollinis Delphici nefarium bellum intulisset

Tum enim ferunt ex oraclo ecfatam esse Pythiam: Ego providebo rem istam et albae virgines

Ex quo factum ut viderentur virgines ferre arma contra et nive Gallorum obrueretur exercitus

Aristoteles quidem eos etiam, qui valetudinis vitio furerent et melancholici dicerentur, censebat habere aliquid in animis praesagiens atque divinum

Ego autem haud scio an nec cardiacis tribuendum hoc sit nec phreneticis; animi enim integri, non vitiosi est corporis divinatio
Spesso anche si presentano alla vista delle immagini che non hanno realtà alcuna, ma ne hanno l'apparenza; ciò, si narra, accadde a Brenno e ai Galli suoi soldati, quando quel re scatenò un'empia guerra contro il tempio di Apollo delfico

Dicono che allora la Pizia parlò solennemente così dall'oracolo: A questo provvederò io, e con me le bianche vergini

Accadde allora che delle vergini sembrassero avanzarsi armate, e che in realtà l'esercito dei Galli fosse sepolto sotto la neve

Aristotele riteneva che anche i veri e propri ammalati di pazzia furiosa e i cosiddetti atrabiliari avessero nelle loro anime qualcosa di profetico e divinatorio

Ma io non direi che questa qualità vada attribuita ai biliosi e ai frenetici: la divinazione è dote di anime integre, non di corpi ammalati

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Quam quidem esse re vera hac Stoicorum ratione concluditur: 'Si sunt di neque ante declarant hominibus quae futura sint, aut non diligunt homines, aut quid eventurum sit ignorant, aut existumant nihil interesse hominum scire quid sit futurum, aut non censent esse suae maiestatis praesignificare hominibus quae sunt futura, aut ea ne ipsi quidem di significare possunt

At neque non diligunt nos (sunt enim benefici generique hominum amici), neque ignorant ea quae ab ipsis constituta et designata sunt, neque nostra nihil interest scire ea quae eventura sint (erimus enim cautiores, si sciemus), neque hoc alienum ducunt maiestate sua (nihil est enim beneficentia praestantius), neque non possunt futura praenoscere

Non igitur sunt di nec significant futura

Sunt autem di; significant ergo
Che davvero la divinazione esista si dimostra con questa argomentazione degli stoici: Se gli dèi esistono e non fanno sapere in anticipo agli uomini il futuro, o non amano gli uomini, o ignorano ciò che accadrà, o ritengono che non giovi affatto agli uomini sapere il futuro, o stimano indegno della loro maestà preavvertire gli uomini delle cose che avverranno, o nemmeno gli dèi stessi sono in grado di farle sapere

Ma non è vero che non ci amino (sono, infatti, benèfici e amici del genere umano), né è possibile che ignorino ciò che essi stessi hanno stabilito e predisposto, né si può ammettere che non ci giovi sapere ciò che accadrà (ché, se lo sapremo, saremo più prudenti), né essi ritengono che CIò non si confaccia alla loro maestà (niente è, difatti, più glorioso che fare il bene), né possono essere incapaci di prevedere il futuro

Dunque, dovremmo concludere, gli dèi non esistono e non predìcono il futuro

Ma gli dèi esistono; dunque predìcono
Et non, si significant, nullas vias dant nobis ad significationis scientiam (frustra enim significarent); nec, si dant vias, non est divinatio: est igitur divinatio

Hac ratione et Chrysippus et Diogenes et Antipater utitur

Quid est igitur cur dubitandum sit quin sint ea, quae disputavi, verissuma, si ratio mecum facit, si eventa, si populi, si nationes, si Graeci, si barbari, si maiores etiam nostri, si denique hoc semper ita putatum est, si summi phdosophi, si poëtae, si sapientissumi viri, qui res publicas constituerunt, qui urbes condiderunt

An dum bestiae loquantur exspectamus, hominum consentiente auctoritate contenti non sumus
E se dànno indizi, non è ammissibile che ci precludano ogni mezzo di interpretare tali indizi (ché darebbero gli indizi senza alcun frutto), né, se essi ci forniscono quei mezzi d'interpretazione, è possibile che non vi sia la divinazione: dunque c'è la divinazione

Di questa argomentazione si servono Crisippo, Diogene e Antipatro

Che motivo c'è, dunque, di rimanere incerti sull'assoluta verità di ciò che ho esposto, se dalla mia parte stanno la ragione, l'avverarsi dei presagi, i popoli, le genti, i greci, i barbari, i nostri stessi antenati, se insomma a queste cose si è sempre creduto, se vi hanno creduto i più grandi filosofi, i poeti, i saggissimi uomini che istituirono gli stati e fondarono le città

Forse, non bastandoci la concorde autorità degli uomini, aspettiamo che parlino le bestie

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Nec vero quicquam aliud adfertur cur ea quae dico divinandi genera nulla sint, nisi quod difficile dictu videtur quae cuiusque divinationis ratio, quae causa sit

Quid enim habet haruspex, cur pulmo incisus etiam in bonis extis dirimat tempus et proferat diem

Quid augur, cur a dextra corvus, a sinistra cornix faciat ratum

Quid astrologus, cur stella Iovis aut Veneris coniuncta cum luna ad ortus puerorum salutaris sit, Saturni Martisve contraria

Cur autem deus dormientes nos moneat, vigilantes neglegat

Quid deinde causae est, cur Cassandra furens futura prospiciat, Priamus sapiens hoc idem facere non queat

Cur fiat quidque, quaeris
Del resto, chi sostiene che i generi di divinazione di cui parlo non hanno alcun valore, obietta soltanto questo: che appare difficile dire quale sia il procedimento razionale, quale la causa di ciascuna divinazione

Che motivo può addurre l'arùspice per cui un polmone che presenta una fenditura, anche se le viscere sono in complesso di buon augurio, debba far sospendere il tempo di un'azione e farla rinviare a un altro giorno

Che motivo ha l'àugure di sentenziare che un corvo che gràcida da destra, una cornacchia da sinistra, sono di buon augurio

Che motivo ha l'astrologo di dire che l'astro di Giove o di Venere in congiunzione con la luna è di buon auspicio per la nascita dei bambini, mentre gli astri di Saturno o di Marte sono infausti

E ancora, perché la divinità ci ammonisce mentre dormiamo, non si cura di noi quando siamo svegli

Che ragione c'è per cui Cassandra veda il futuro in stato di folle esaltazione, e non sia in grado di far ciò Priamo trovandosi perfettamente in senno

Tu chiedi perché ciascuna di queste cose avvenga

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