Quibus portentis magna populo Romano bella perniciosaeque seditiones denuntiabantur, inque his omnibus responsa haruspicum cum Sibyllae versibus congruebant Quid cum Cumis Apollo sudavit, Capuae Victoria Quid, ortus androgyni nonne fatale quoddam monstrum fuit Quid cum fluvius Atratus sanguine fluxit Quid quod saepe lapidum, sanguinis non numquam, terrae interdum, quondam etiam lactis imber effluxit Quid cum in Capitolio ictus Centaurus - caelo est, in Aventino portae et homines, Tusculi aedes Castoris et Poflucis Romaeque Pietatis Nonne et haruspices ea responderunt, quae evenerunt, et in Sibyllae libris eaedem repertae praedictiones sunt Caeciliae Q filiae somnio modo Marsico bello templum est a senatu Iunoni Sospitae restitutum |
E da questi portenti erano preannunciate al popolo romano grandi guerre e rovinose sedizioni, e in tutti questi casi i responsi degli arùspici concordavano coi versi della Sibilla E ancora, quando a Cuma sudò la statua di Apollo, a Capua quella della Vittoria E la nascita di un andrògino non fu un prodigio funesto E quando le acque del fiume Atrato si tinsero di sangue E che dire del fatto che più volte cadde giù una pioggia di pietre, spesso di sangue, talvolta di terra, una volta anche di latte E quando sul Campidoglio fu colpita dal fulmine la statua di un Centauro, sull'Aventino porte delle mura e uomini, a Tùsculo il tempio di Càstore e Pollùce, a Roma il tempio della Pietà In tutte queste circostanze gli arùspici non dettero responsi conformi a ciò che poi accadde, e nei libri sibillini non furono trovate le stesse profezie Non molto tempo fa, durante la guerra màrsica, in seguito a un sogno di Cecilia, figlia di Quinto, il tempio dedicato a Giunone Sospita fu fatto ricostruire dal senato |
Quod quidem somnium Sisenna cum disputavisset mirifice ad verbum cum re convenisse, tum insolenter, credo ab Epicureo aliquo inductus, disputat somniis credi non oportere Idem contra ostenta nibil disputat exponitque initio belli Marsici et deorum simulacra sudavisse, et sanguinem fluxisse, et discessisse caelum, et ex occulto auditas esse voces, quae pericula belli nuntiarent, et Lanuvii clipeos, quod haruspicibus tristissumum visum esset, a muribus esse derosos Quid quod in annalibus habemus |
Sisenna aveva dimostrato che quel sogno corrispondeva mirabilmente, alla lettera, coi fatti; poi, inaspettatamente, credo per influsso di qualche epicureo, si mette a sostenere che non bisogna credere ai sogni Eppure contro i prodìgi non obietta nulla, e narra che all'inizio della guerra màrsica le statue degli dèi sudarono, e scorsero fiumi rossi di sangue, e che il cielo si spaccò, e si udirono voci misteriose che annunziavano pericoli di guerra, e a Lanuvio alcuni scudi furono rosicchiati dai topi: agli arùspici questo parve un presagio funestissimo E che dire di ciò che leggiamo negli annali |
Veienti bello, cum lacus Albanus praeter modum crevisset, Veientem quendam ad nos hominem nobilem perfugisse, eumque dixisse ex fatis, quae Veientes scripta haberent, Veios capi non posse, dum lacus is redundaret, et, si lacus emissus lapsu et cursu suo ad mare profluxisset, perniciosum populo Romano; sin autem ita esset eductus, ut ad mare pervenire non posset, tum salutare nostris fore Ex quo illa mirabilis a maioribus Albanae aquae facta deductio est Cum autem Veientes bello fessi legatos ad senatum misissent, tum ex iis quidam dixisse dicitur non omnia illum transfugam ausum esse senatui dicere: in isdem enim fatis scriptum Veientes habere fore ut brevi a Gallis Roma caperetur, quod quidem sexennio post Veios captos factum esse videmus |
Durante la guerra contro Veio, essendo cresciute oltre misura le acque del lago Albano, un nobile di Veio passò dalla nostra parte e disse che, secondo i libri profetici che i veienti conservavano, Veio non poteva esser presa finché il lago non fosse giunto a traboccare; ma se le acque, fuoriuscendo, si fossero scaricate in mare secondo il loro deflusso spontaneo, sarebbe stata una rovina per il popolo romano; se invece fossero state incanalate in modo da non poter raggiungere il mare, sarebbe stata la vittoria per i nostri In seguito a ciò i nostri antenati scavarono quel mirabile canale di scarico dell'acqua del lago Albano Ma quando i veienti, spossati dalla guerra, mandarono ambasciatori al senato per trattare la resa, allora uno di essi - si narra - disse che quel disertore non aveva avuto il coraggio di dire tutto al senato: ché in quegli stessi libri profetici posseduti dai veienti si diceva che tra breve Roma sarebbe stata conquistata dai Galli: e in effetti, come sappiamo, ciò avvenne sei anni dopo la presa di Veio |
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Saepe etiam et in proeliis Fauni auditi et in rebus turbidis veridicae voces ex occulto missae esse dicuntur; cuius generis duo sint ex multis exempla, sed maxuma Nam non multo ante urbem captam exaudita vox est a luco Vestae, qui a Palati radice in novam viam devexus est, ut muri et portae reficerentur; futurum esse, nisi provisum esset, ut Roma caperetur Quod neglectum cum caveri poterat, post acceptam illam maximam cladem expiatum est; ara enim Aio Loquenti, quam saeptam videmus, exadversus eum locum consecrata est Atque etiam scriptum a multis est, cum terrae motus factus esset ut sue plena procuratio fieret, vocem ab aede Iunonis ex arce exstitisse; quocirca Iunonem iram appellatam Monetam |
Spesso anche si narra che nelle battaglie si udirono le voci dei Fauni, e, nel corso di tumulti, parole che predicevano il vero, provenienti chissà da dove; tra i molti esempi di questo genere, bastino due soli, ma di gran rilievo Non molto prima che la città fosse presa dai Galli, si udì una voce proveniente dal bosco sacro a Vesta, che dai piedi del Palatino scende verso la Via Nuova: la voce ammoniva che si ricostruissero le mura e le porte; se non si provvedeva, Roma sarebbe stata presa dai nemici Di questo ammonimento, che fu trascurato allora, quando si era in tempo a evitare il danno, fu fatta espiazione dopo quella terribile disfatta: dirimpetto a quel luogo, fu consacrato ad Aio Loquente un altare, che tuttora vediamo protetto da un recinto L'altro esempio: molti hanno scritto che, dopo un terremoto, una voce proveniente dal tempio di Giunone sul Campidoglio ammonì che si sacrificasse in segno di espiazione una scrofa gravida: perciò la Giunone a cui era dedicato quel tempio fu chiamata Moneta |
Haec igitur et a dis significata et a nostris maioribus iudicata contemnimus Neque solum deorum voces Pythagorei observitaverunt, sed etiam hominum, quae vocant omina Quae maiores nostri quia valere censebant, idcirco omnibus rebus agendis quod bonum, faustum, felix fortunatumque esset praefabantur, rebusque divinis, quae publice fierent, ut faverent linguis imperabatur, inque feriis imperandis ut litibus et iurgiis se abstinerent Itemque in lustranda colonia ab eo qui eam deduceret, et cum imperator exercitum, censor populum lustraret, bonis nominibus qui hostias ducerent eligebantur Quod idem in dilectu consules observant, ut primus miles fiat bono nomine |
Questi fatti, dunque, annunciati dagli dèi e sanzionati dai nostri antenati, li disprezziamo Ma i pitagorici consideravano assiduamente non solo le voci degli dèi, ma anche quelle degli uomini, chiamate òmina E siccome i nostri antenati ritenevano che esse avessero valore profetico, ogni volta che dovevano compiere un atto importante incominciavano col dire: Sia questa cosa buona, fausta, felice e fortunata; e nelle pubbliche cerimonie religiose si ordinava che i presenti facessero silenzio, e, nel proclamare le ferie, che si astenessero da liti e risse Così pure, nel fondare con un rito di purificazione una colonia, colui che la fondava sceglieva, perché conducessero le vittime al sacrificio, persone dai nomi di buon augurio; e così faceva il comandante quando purificava l'esercito, il censore quando purificava il popolo Alla stessa norma si attengono i consoli nella leva: che il primo soldato arruolato abbia un nome di buon augurio |
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Quae quidem a te scis et consule et imperatore summa cum religione esse servata Praerogativam etiam maiores omen iustorum comitiorum esse voluerunt Atque ego exempla ominum nota proferam L Paulus consul iterum, cum ei bellum ut cum rege Perse gereret obtigisset, ut ea ipsa die domum ad vesperum rediit, filiolam suam Tertiam, quae tum erat admodum parva, osculans animadvertit tristiculam Quid est, inquit, mea Tertia quid tristis es Mi pater, inquit, Persa periit Tum ille artius puellam complexus: 'Accipio, inquit, mea filia, omen |
Tu sai bene che, quando sei stato console e comandante militare, hai osservato queste norme con grande scrupolo Anche riguardo alla centuria che votava per prima nei comizi, i nostri antenati ritennero che per il suo nome essa costituisse un buon auspicio di elezioni conformi alla legge Ed io ti rammenterò ben noti esempi di òmina Lucio Paolo, console per la seconda volta, essendogli toccato l'incarico di condurre la guerra contro il re Perse, quando in quello stesso giorno, sull'imbrunire, ritornò a casa, nel dare un bacio alla sua bambina Terzia, ancora molto piccola a quel tempo, si accorse che era un po' triste Che è successo, Terzia le chiese; perché sei triste E lei: Babbo, disse, è morto Persa Egli allora, abbracciandola forte, disse: Accetto il presagio, figlia mia |
Erat autem mortuus catellus eo nomine, L Flaccum, flaminem Martialem, ego audivi, cum diceret Caeciliam Metelli, cum vellet sororis suae filiam in matrimonium conlocare, exisse in quoddam sacellum ominis capiendi causa, quod fieri more veterum solebat Cum virgo staret et Caecilia in sella sederet, neque diu ulla vox exstitisset, puellam defatigatam petisse a matertera, ut sibi concederet paulisper ut in eius sella requiesceret; illam autem dixisse: Vero, mea puella, tibi concedo meas sedes Quod omen res consecuta est; ipsa enim brevi mortua est, virgo autem nupsit, cui Caecilia nupta fuerat Haec posse contemni vel etiam rideri praeclare intellego, sed id ipsum est deos non putare, quae ab iis significantur contemnere Quid de auguribus loquar Tuae partes sunt, tuum, inquam, auspiciorum atrocinium debet esse |
Era morto un cagnolino che si chiamava così: ho udito raccontare io stesso da Lucio Flacco, flàmine marziale, che Cecilia, moglie di Metello, volendo far sposare la figlia di sua sorella, si recò in un tempietto per ricevere un presagio, secondo l'uso degli antichi La nipote stava in piedi, Cecilia era seduta; per molto tempo non si sentì nessuna voce; allora la ragazza, stanca, chiese alla zia che le permettesse di riposarsi un poco sulla sua sedia; e Cecilia: Certo, bambina mia, ti lascio il mio posto E il detto si avverò: Cecilia morì poco dopo, e la ragazza sposò colui che era stato il marito di Cecilia Lo capisco fin troppo bene: queste cose si possono disprezzare o si può anche riderne; ma disprezzare i segni inviati dagli dèi e negare la loro esistenza, è tutt'uno E degli àuguri, che dire materia di tua pertinenza; a te, dico, deve spettare la difesa degli auspicii |
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Tibi ApP Claudius augur consuli nuntiavit addubitato salutis augurio bellum domesticum triste ac turbulentum fore; quod paucis post mensibus exortum paucioribus a te est diebus oppressum Cui quidem auguri vehementer adsentior; solus enim multorum annorum memoria non decantandi augurii, sed divinandi tenuit disciplinam Quem inridebant collegae tui eumque tum Pisidam, tum Soranum augurem esse dicebant; quibus nulla videbatur in auguriis aut praesensio aut scientia veritatis futurae; sapienter aiebant ad opinione imperitorum esse fictas religiones Quod longe secus est neque enim in pastoribus illis, quibus Romulus praefuit, ne in ipso Romulo haec calliditas esse potuit, ut ad errorem multitudinis religionis simulacra fingerent |
Quando eri console, l'àugure Appio Claudio ti annunziò - avendo giudicato ambiguo l'augurio della salvezza - che vi sarebbe stata una guerra civile funesta e tempestosa; e pochi mesi dopo scoppiò, e tu la soffocasti in ancor più pochi giorni Quell'àugure io lo stimo altamente, perché egli solo, dopo molti anni, non si limitò a ripetere le solite formule augurali, ma mantenne in vita l'arte della divinazione I tuoi colleghi lo deridevano, lo chiamavano àugure di Pisidia o di Sora: essi credevano che negli augurii non vi fosse nessun presentimento, nessuna conoscenza della realtà futura; erano stati accorti, dicevano, quelli che avevano inventato le credenze religiose per darle a intendere agli ignoranti Ma la realtà è ben diversa: né quei pastori di cui Romolo fu il re, né Romolo in persona poterono essere tanto smaliziati da inventare delle parvenze di religione per trarre in errore la moltitudine |
Sed difficultas laborque discendi disertare neglegentiam reddidit; malunt enim disserere nihil esse in auspiciis quam, quid sit, ediscere Quid est illo auspicio divinius, quod apud te in Mario est ut utar potissumum auctore te: Hic Iovis altisoni subito pinnata satellesarboris e trunco, serpentis saucia morsu,subrigit ipsa, feris transfigens unguibus anguemsemianimum et varia graviter cervice micantem Quem se intorquentem lanians rostroque cruentansiam satiata animos, iam duros ulta doloresabicit ecflantem et laceratum adfligit in undaseque obitu a solis nitidos convertit ad ortus |
Ma la difficoltà e la fatica d'imparare hanno reso eloquenti i fannulloni: meglio fare forbiti discorsi sul valore nullo degli auspicii, che apprenderne con cura l'essenza Che c'è di più profetico di quell'auspicio che si legge nel tuo Mario Della tua testimonianza mi piace servirmi più che di ogni altra: Allora, d'improvviso, l'alata ministra di Gìove altitonante, ferita dal morso del serpente, lo strappa a sua volta dal tronco dell'albero, trafiggendo con gli artigli spietati il rettile semivivo, guizzante a gran forza col collo variegato Essa dilania e insanguina col becco il serpente che si divincola; poi, ormai saziata l'ira, ormai vendicato l'aspro dolore, lo lascia cader giù spirante, lo fa precipitare nelle onde già ridotto a brani; ed essa si rivolge dal lato dove il sole tramonta verso il lato donde sorge splendente |
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Hanc ubi praepetibus pinnis lapsuque volantemconspexit Marius, divini numinis augur,faustaque signa suae laudis reditusque notavit,partibus intonuit caeli pater ipse sinistrisSic aquilae clarum firmavit Iuppiter omen Atque ille Romuli auguratus pastoralis, non urbanus fuit, nec fictus ad opiniones imperitorum, sed a certis acceptus et posteris traditus Itaque Romulus augur, ut apud Ennium est, cum fratre item augure Curantes magna cum cura, tum cupientesregni dant operam simul auspicio augurioque In monteRemus auspicio se devovet atque secundamsolus avem servat; at Romulus pulcher in altoquaerit Aventino, servat genus altivolantum Certabant, urbem Romam Remoramne vocarent;omnibus cura viris uter esset induperator |
Appena Mario, àugure della volontà divina, ebbe visto l'aquila che volava scorrendo per il cielo con le ali veloci, ed ebbe inteso il fausto presagio della propria gloria e del proprio ritorno, ecco che il Padre stesso degli dèi tuonò dalla parte sinistra del cielo; così Giove confermò lo splendido presagio dell'aquila E quell'augurio ottenuto da Romolo fu un augurio da pastore, non da esperto cittadino, non inventato per dar soddisfazione alle credenze degli ignoranti, ma ricevuto da persone fededegne e tramandato ai posteri Or bene, Romolo àugure, come leggiamo in Ennio, e suo fratello àugure anche lui, procedendo con gran cura, e desiderosi di regnare, si accingono all'auspicio e all'augurio Sul monte Remo si dedica all'auspicio e da solo attende che appaia qualche uccello; dal canto suo, Romolo dall'aspetto divino osserva il cielo sull'alto Aventino, attende la stirpe degli altovolanti Gareggiavano per decidere se dovessero chiamare la città Roma o Rémora; tutti attendevano ansiosamente chi sarebbe stato il sovrano |