Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 15 - 30

Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 15 - 30

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 15 - 30
[15] Masinissae haec audienti non rubor solum suffusus sed lacrimae etiam obortae; et cum se quidem in potestate futurum imperatoris dixisset orassetque eum ut quantum res sineret fidei suae temere obstrictae consuleretpromisisse enim se in nullius potestatem eam traditurumex praetorio in tabernaculum suum confusus concessit [15] Massinissa mentre ascoltava queste parole non solo arrossì, ma ruppe anche in pianto; e dopo aver affermato che per quanto riguardava lui si considerava a discrezione del generale, lo pregava per quanto le circostanze lo consentissero, di permettergli di assolvere quell'impegno che egli aveva preso senza riflettere - poiché aveva promesso alla donna che non l'avrebbe mai consegnata in potere di alcuno - turbato, uscì dal pretorio e si ritirò nella sua tenda
Ibi arbitris remotis cum crebro suspiritu et gemitu, quod facile ab circumstantibus tabernaculum exaudiri posset, aliquantum temporis consumpsisset, ingenti ad postremum edito gemitu fidum e servis unum vocat, sub cuius custodia regio more ad incerta fortunae venenum erat, et mixtum in poculo ferre ad Sophonibam iubet ac simul nuntiare Masinissam libenter primam ei fidem praestaturum fuisse quam vir uxori debuerit: quoniam eius arbitrium qui possint adimant, secundam fidem praestare ne viva in potestatem Romanorum veniat

Memor patris imperatoris patriaeque et duorum regum quibus nupta fuisset, sibi ipsa consuleret

Hunc nuntium ac simul venenum ferens minister cum ad Sophonibam venisset, 'accipio' inquit 'nuptiale munus, neque ingratum, si nihil maius vir uxori praestare potuit
Qui, allontanati i testimoni, con profondi sospiri e gemiti, che facilmente chi stava intorno alla tenda poteva udire, passò molto tempo, alla fine, mandato un grido soffocato, chiamò uno dei servi devoti che secondo la consuetudine del re, teneva in custodia il veleno pronto per tutte le evenienze della sorte e, versatolo in una coppa, gli comandò di portarlo a Sofonisba e ordinò al servo di annunziare nello stesso tempo alla donna che Massinissa volentieri avrebbe mantenuto il suo primo impegno verso di lei, quello che un marito deve alla moglie, ma, poiché glielo impediva chi aveva potere sopra di lui, egli manteneva il suo secondo impegno, quello di non consegnarla viva nelle mani dei Romani

Da sola provvedesse a se stessa, ricordandosi di essere stata figlia di Asdrubale cartaginese e consorte di due re

Quando il servo giunse recando questo annuncio e con esso la coppa avvelenata, Sofonisba così gli disse: Accolgo il dono nuziale che non mi dispiace se nulla di meglio un marito può offrire alla moglie
Hoc tamen nuntia, melius me morituram fuisse si non in funere meo nupsissem

Non locuta est ferocius quam acceptum poculum nullo trepidationis signo dato impavide hausit

Quod ubi nuntiatum est Scipioni, ne quid aeger animi ferox iuvenis gravius consuleret accitum eum extemplo nunc solatur, nunc quod temeritatem temeritate alia luerit tristioremque rem quam necesse fuerit fecerit leniter castigat

Postero die ut a praesenti motu averteret animum eius, in tribunal escendit et contionem advocari iussit

Ibi Masinissam, primum regem appellatum eximiisque ornatum laudibus, aurea corona aurea patera sella curuli et scipione eburneo toga picta et palmata tunica donat
Tuttavia, di' a Massinissa che sarei morta meglio se non mi fossi sposata il giorno del mio funerale

La fierezza delle sue parole non fu maggiore del coraggio col quale prese la tazza; senza batter ciglio bevve il veleno

Quando la cosa fu riferita a Scipione, perché quel giovane appassionato non commettesse per la costernazione qualche gesto irreparabile, mandato a chiamare subito Massinissa, ora lo confortava, ora lo rimproverava pacatamente di aver voluto espiare un atto sconsiderato con un'altra avventatezza rendendo così la situazione più funesta di quanto sarebbe stato necessario

Il giorno dopo, per distogliere la mente del re dalle emozioni di quel momento, Scipione sali sulla tribuna e dette ordine di convocare l'assemblea

Qui per prima cosa chiamò Massinissa col titolo di re, gli tributò altissimi elogi e gli fece dono di una corona d'oro, di una tazza pure d'oro, di una sedia curule,' di uno scettro d'avorio, di una toga ricamata e di una tunica ornata con ricami di foglie di palma

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Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 01 - 02

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 01 - 02

Addit verbis honorem: neque magnificentius quicquam triumpho apud Romanos neque triumphantibus ampliorem eo ornatum esse quo unum omnium externorum dignum Masinissam populus Romanus ducat

Laelium deinde et ipsum conlaudatum aurea corona donat; et alii militares viri, prout a quoque navata opera erat, donati

His honoribus mollitus regis animus erectusque in spem propinquam sublato Syphace omnis Numidiae potiundae

[16] Scipio C Laelio cum Syphace aliisque captivis Romam misso, cum quibus et Masinissae legati profecti sunt, ipse ad Tyneta rursus castra refert et quae munimenta incohaverat permunit
Gli fece poi omaggio di un discorso, dichiarando che presso i Romani non v'era onore più splendido del trionfo e che per i trionfatori non v'era alcun ornamento più bello di quello di cui il popolo romano aveva ritenuto degno il solo Massinissa, fra tutti gli stranieri

Lodò poi anche Lelio a cui donò una corona d'oro; anche altri soldati ebbero donativi secondo i meriti di ciascuno

Così placò con questi onori l'animo del re, che si accese di nuova speranza di impadronirsi tra breve di tutto il regno della Numidia, dopo aver tolto di mezzo Siface

[16] Scipione, avendo inviato a Roma C Lelio con Siface e con altri prigionieri, insieme coi quali partirono anche gli ambasciatori di Massinissa, riportò di nuovo il campo a Tunisi, dove condusse a termine le fortificazioni che aveva incominciato
Carthaginienses non brevi solum sed prope vano gaudio ab satis prospera in praesens oppugnatione classis perfusi, post famam capti Syphacis in quo plus prope quam in Hasdrubale atque exercitu suo spei reposuerant perculsi, iam nullo auctore belli ultra audito oratores ad pacem petendam mittunt triginta seniorum principes; id erat sanctius apud illos consilium maximaque ad ipsum senatum regendum vis

Qui ubi in castra Romana et in praetorium pervenerunt more adulantiumaccepto, credo, ritu ex ea regione ex qua oriundi erantprocubuerunt

Conveniens oratio tam humili adulationi fuit non culpam purgantium sed transferentium initium culpae in Hannibalem potentiaeque eius fautores
I Cartaginesi, colmi di una gioia non solo breve, ma quasi vana, per il momentaneo successo contro la flotta romana, dopo aver appreso la cattura di Siface, nel quale avevano riposto quasi maggiori speranze che in Asdrubale e nel loro proprio esercito, sgomenti non prestarono più alcuna fede in chi proponesse di continuare la guerra; mandarono perciò una commissione di trenta fra i più anziani capi della città a chiedere la pace

Costoro erano in Cartagine una deputazione ristretta del senato e rappresentavano la massima autorità in quel consesso, allorché giunsero agli accampamenti romani e alla tenda del generale, si prostrarono in atto di ossequio, secondo il costume, io credo, di quel paese del quale erano originari

Il loro discorso fu ispirato da un atteggiamento di servile umiltà; non giustificavano, infatti, le loro colpe, ma ne facevano risalire la responsabilità ad Annibale ed ai fautori della sua potenza

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Livio, Ab urbe condita: Libro 33; 26 - 49

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 33; 26 - 49

Veniam civitati petebant civium temeritate bis iam eversae, incolumi futurae iterum hostium beneficio; imperium ex victis hostibus populum Romanum, non perniciem petere; paratis oboedienter servire imperaret quae vellet

Scipio et venisse ea spe in Africam se ait, et spem suam prospero belli eventu auctam, victoriam se non pacem domum reportaturum esse; tamen cum victoriam prope in manibus habeat, pacem non abnuere, ut omnes gentes sciant populum Romanum et suscipere iuste bella et finire
Chiedevano che la città fosse risparmiata già per due volte era stata trascinata in pericolo a causa dell'avventatezza dei suoi cittadini, ma per la seconda volta si sarebbe salvata in virtù della generosità dei nemici; dicevano che il popolo romano aspirava a dominare sul nemico vinto, ma non ne voleva la rovina; ad essi che erano pronti ad obbedire, Scipione non aveva che a comandare ciò che voleva che facessero

Scipione rispose che egli era venuto in Africa con la speranza di riportare in patria la vittoria, non la pace e che tale speranza era stata in lui resa più viva dai prosperi successi della guerra; tuttavia, dal momento che stava per conquistare la vittoria, non respingeva la pace, perché tutte le genti sapessero che il popolo romano intraprende le guerre per cause giuste e le finisce con altrettanta giustizia
Leges pacis se has dicere: captivos et perfugas et fugitivos restituant; exercitus ex Italia et Gallia deducant; Hispania abstineant; insulis omnibus quae inter Italiam atque Africam sint decedant; naves longas praeter viginti omnes tradant, tritici quingenta, hordei trecenta milia modium

Pecuniae summam quantam imperaverit parum convenit; alibi quinque milia talentum, alibi quinque milia pondo argenti, alibi duplex stipendium militibus imperatum invenio

'His condicionibus' inquit 'placeatne pax triduum ad consultandum dabitur

Si placuerit, mecum indutias facite, Romam ad senatum mittite legatos
Queste erano le condizioni di pace che egli imponeva: consegnare prigionieri, disertori, schiavi fuggitivi; far rientrare gli eserciti dall'Italia e dalla Gallia; non occuparsi più della Spagna; abbandonare tutte le isole che stanno fra l'Italia e l'Africa; consegnare tutte le navi da guerra fuor che venti, nonché cinquecentomila moggi di frumento e trecentomila di orzo

Non sappiamo con precisione quanto grande fosse la somma di denaro richiesta per la consegna; trovo che alcuni parlano di cinquemila talenti altri di cinquemila libbre d'argento, altri ancora dicono che fu imposta una paga doppia per i soldati

Avete tre giorni di tempo disse Scipione, per decidere se accettate o no la pace a queste condizioni

Se deciderete di accettarla, fate prima la tregua con me, poi mandate ambasciatori al senato

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Livio, Ab urbe condita: Libro 34; 45 - 49

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 45 - 49

Ita dimissi Carthaginienses nullas recusandas condiciones pacis cum censuissent quippe qui moram temporis quaererent dum Hannibal in Africam traiceret, legatos alios ad Scipionem ut indutias facerent, alios Romam ad pacem petendam mittunt ducentes paucos in speciem captivos perfugasque et fugitivos quo impetrabilior pax esset

[17] Multis ante diebus Laelius cum Syphace primoribusque Numidarum captivis Romam venit quaeque in Africa gesta essent omnia ordine exposuit patribus ingenti hominum et in praesens laetitia et in futurum spe

Consulti inde patres regem in custodiam Albam mittendum censuerunt, Laelium retinendum donec legati Carthaginienses venirent

Supplicatio in quadriduum decreta est

P Aelius praetor senatu misso et contione inde advocata cum C Laelio in rostra escendit
Poiché i Cartaginesi decisero di non respingere alcuna delle condizioni di pace, furono congedati, inviarono poi altri messi a Scipione per iniziare le trattative della tregua, come coloro che cercavano di prendere tempo fino al passaggio di Annibale in Africa; mandarono anche altri ambasciatori a Roma per chiedere la pace, facendoli accompagnare per ingannare le apparenze da un piccolo gruppo di prigionieri, di disertori, e di fuggiaschi, per ottenere più facilmente la pace

[17] Molti giorni prima Lelio, giunto a Roma con Siface e coi più autorevoli prigionieri numidi, fece in senato un'accurata relazione intorno alle imprese compiute in Africa, con grandissima gioia dei senatori per la presente situazione che dava grandi speranze per l'avvenire

I senatori, invitati a deliberare, decisero di mandare Siface prigioniero ad Alba e di trattenere Lelio fino all'arrivo degli ambasciatori da Cartagine

Fu deliberato per quattro giorni un pubblico ringraziamento agli dei

Il pretore P Elio, sciolta la seduta del senato e convocata l'adunanza del popolo, salì con C Lelio sulla tribuna degli oratori
Ibi vero audientes fusos Carthaginiensium exercitus, devictum et captum ingentis nominis regem, Numidiam omnem egregia victoria peragratam, tacitum continere gaudium non poterant quin clamoribus quibusque aliis multitudo solet laetitiam immodicam significarent

Itaque praetor extemplo edixit uti aeditui aedes sacras omnes tota urbe aperirent, circumeundi salutandique deos agendique grates per totum diem populo potestas fieret

Postero die legatos Masinissae in senatum introduxit
Qui i cittadini, udendo che gli eserciti cartaginesi erano stati sbaragliati, che era stato vinto e fatto prigioniero un re di nobile fama, che tutta la Numidia era stata percorsa dalle truppe romane vittoriose, lasciavano traboccare la loro gioia senza poter fare a meno di abbandonarsi a quelle grida e a tutte quelle altre manifestazioni clamorose con le quali la folla suole esprimere la sua letizia

Intanto il pretore ordinò subito che in tutta la città i custodi aprissero i templi, perché il popolo per tutto il giorno avesse la possibilità di andar in giro a venerare e a ringraziare solennemente gli dei

Il giorno dopo il pretore introdusse in senato gli ambasciatori di Massinissa

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Gratulati primum senatui sunt quod P Scipio prospere res in Africa gessisset; deinde gratias egerunt quod Masinissam non appellasset modo regem sed fecisset restituendo in paternum regnum, in quo post Syphacem sublatum si ita patribus visum esset sine metu et certamine esset regnaturus, dein conlaudatum pro contione amplissimis decorasset donis, quibus ne indignus esset et dedisse operam Masinissam et porro daturum esse

Petere ut regium nomen ceteraque Scipionis beneficia et munera senatus decreto confirmaret; et, nisi molestum esset, illud quoque petere Masinissam, ut Numidas captivos qui Romae in custodia essent remitterent; id sibi amplum apud populares futurum esse
Questi per prima cosa si rallegrarono per le felici imprese compiute da Scipione in Africa; poi espressero la loro riconoscenza perché non solo Scipione aveva conferito a Massinissa il titolo di re, ma lo aveva creato re di fatto, restituendogli il regno paterno, nel quale, tolto di mezzo Siface, con l'autorizzazione dei senatori, egli avrebbe regnato senza timori né contestazioni, alla fine manifestarono la loro gratitudine verso Scipione perché aveva elogiato Massinissa dinanzi all'assemblea dei soldati e gli aveva offerto molti bellissimi doni, per mostrarsi non indegno dei quali il re si era adoperato in passato e si sarebbe adoperato in avvenire

Massinissa chiedeva che il senato confermasse con una deliberazione il titolo di re e gli altri privilegi e donativi che Scipione gli aveva fatto; e se la richiesta non fosse stata eccessiva, chiedeva anche che fossero liberati i prigionieri numidi che erano in carcere a Roma; questo gesto avrebbe accresciuto il suo prestigio presso i suoi connazionali

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