Livio, Ab urbe condita: Libro 06, 16-20, pag 2

Livio, Ab urbe condita: Libro 06, 16-20

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 06, 16-20
At in parte altera senatus de secessione in domum priuatam plebis, forte etiam in arce positam, et imminenti mole libertate agitat

magna pars uociferantur Seruilio Ahala opus esse, qui non in uincla duci iubendo inritet publicum hostem sed unius iactura ciuis finiat intestinum bellum

decurritur ad leniorem uerbis sententiam, uim tamen eandem habentem, ut uideant magistratus ne quid ex perniciosis consiliis M Manli res publica detrimenti capiat

tum tribuni consulari potestate tribunique plebi -- nam et [ei], quia eundem [et] suae potestatis, quem libertatis omnium, finem cernebant, patrum auctoritati se dediderant -- hi tum omnes quid opus facto sit consultant
Dall'altra parte i senatori stavano discutendo di quelle riunioni segrete della plebe in una casa privata (una casa che, per puro caso, si trovava anche sulla rocca) e del grave pericolo che minacciava la libertà

La maggior parte di essi gridava che c'era bisogno di un Servilio Aala, che non esasperasse i nemici pubblici mettendoli in prigione, ma che con la soppressione di un solo cittadino ponesse fine alla guerra civile

Si ricorse tuttavia a una decisione che, pur risultando nei fatti ugualmente energica, dava l'impressione di essere più moderata: venne ordinato ai magistrati di provvedere che la repubblica non subisse alcun danno dai perniciosi progetti di Marco Manlio

Allora i tribuni con potestà consolare e i tribuni della plebe (messisi anch'essi a disposizione del senato in quanto consci del fatto che la fine della libertà di tutti avrebbe coinciso con la fine del loro potere) si consultarono collegialmente sulle misure da prendere
cum praeter uim et caedem nihil cuiquam occurreret, eam autem ingentis dimicationis fore appareret, tum M Menenius et Q Publilius tribuni plebis: quid patrum et plebis certamen facimus, quod ciuitatis esse aduersus unum pestiferum ciuem debet

quid cum plebe adgredimur eum quem per ipsam plebem tutius adgredi est ut suis ipse oneratus uiribus ruat

nihil minus populare quam regnum est

simul multitudo illa non secum certari uiderint et ex aduocatis iudices facti erunt et accusatores de plebe patricium reum intuebuntur et regni crimen in medio, nulli magis quam libertati fauebunt suae

Adprobantibus cunctis diem Manlio dicunt
Siccome nessuno era in grado di suggerire soluzioni che non prevedessero il ricorso alla violenza e al sangue - il che avrebbe comportato, evidentemente, uno scontro durissimo -, allora i tribuni della plebe Marco Menenio e Quinto Publilio dissero: Perché mai dobbiamo trasformare in uno scontro tra patrizi e plebei quello che dovrebbe essere una lotta tra la città e un solo, pericoloso cittadino

Perché lo affrontiamo spalleggiati dalla plebe, quando sarebbe più sicuro attaccarlo servendoci della plebe stessa per farlo crollare schiacciato dalle sue stesse forze

Non c'è nulla di meno popolare che la monarchia

Non appena tutta quella gente si renderà conto che non si combatte contro di loro, da sostenitori si trasformeranno in giudici: quando l'accusa sarà sostenuta da plebei contro un imputato patrizio, e ci sarà di mezzo il reato di voler restaurare la monarchia, la plebe penserà prima di tutto a difendere la propria libertà

Tutti approvarono all'unanimità la proposta e decisero di citare Manlio in giudizio
quod ubi est factum, primo commota plebs est, utique postquam sordidatum reum uiderunt nec cum eo non modo patrum quemquam sed ne cognatos quidem aut adfines, postremo ne fratres quidem A et T Manlios, quod ad eum diem nunquam usu uenisset, ut in tanto discrimine non et proximi uestem mutarent

Ap Claudio in uincula ducto C Claudium inimicum Claudiamque omnem gentem sordidatam fuisse; consensu opprimi popularem uirum, quod primus a patribus ad plebem defecisset

cum dies uenit, quae praeter coetus multitudinis seditiosasque uoces et largitionem et fallax indicium pertinentia proprie ad regni crimen ab accusatoribus obiecta sint reo, apud neminem auctorem inuenio; nec dubito haud parua fuisse, cum damnandi mora plebi non in causa sed in loco fuerit
L'applicazione di questo provvedimento suscitò commozione tra i plebei, specialmente quando essi videro che Manlio era in gramaglie e che ad accompagnarlo non solo non c'era nemmeno un senatore ma mancavano tanto i parenti e i congiunti quanto addirittura i fratelli Aulo e Tito Manlio: non era mai accaduto fino a allora che in simili circostanze i parenti più stretti non vestissero a lutto

Quando era finito in carcere Appio Claudio, Gaio Claudio, che pure gli era ostile, e tutta la famiglia Claudia si erano messi in lutto; c'era, dunque, un accordo per schiacciare l'amico del popolo, perché era stato il primo patrizio a passare dalla parte della plebe

Arrivò il giorno del processo, ma non ho trovato in nessun autore quali accuse gli siano state mosse in diretta connessione al reato di tentata restaurazione della monarchia, se si eccettuano le riunioni di massa, i discorsi sediziosi, le sue elargizioni di denaro e la falsa denunzia; comunque non doveva trattarsi di cose di poco peso, perché la plebe tardò a condannarlo non tanto per motivi riguardanti la causa, quanto per il luogo dove si teneva il processo

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Livio, Ab urbe condita: Libro 04. 09-14

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04. 09-14

illud notandum uidetur, ut sciant homines quae et quanta decora foeda cupiditas regni non ingrata solum sed inuisa etiam reddiderit

Homines prope quadringentos produxisse dicitur, quibus sine fenore expensas pecunias tulisset, quorum bona uenire, quos duci addictos prohibuisset

Ad haec decora quoque belli non commemorasse tantum sed protulisse etiam conspicienda, spolia hostium caesorum ad triginta, dona imperatorum ad quadraginta, in quibus insignes duas murales coronas, ciuicas octo

Ad hoc seruatos ex hostibus ciues [produxit], inter quos C Seruilium magistrum equitum absentem nominatum
un particolare che mi sembra degno di essere menzionato, perché la gente sappia quali e quanto grandi meriti siano diventati odiosi e spregevoli a causa di una vergognosa brama del regno

Si dice che Manlio portò di fronte alla corte circa quattrocento individui ai quali egli aveva prestato denaro senza pretendere interessi, salvando così i loro beni dalla vendita all'asta, e le loro persone dalla schiavitù

Inoltre, Manlio non si limitò a richiamare alla memoria le proprie glorie militari, ma ne produsse l'evidenza di fronte agli occhi di tutti, mostrando addirittura le spoglie di trenta nemici uccisi, e quaranta decorazioni ottenute da generali, tra le quali spiccavano due corone murali e otto civiche

Come se non bastasse, Manlio avrebbe poi citato i concittadini da lui salvati, menzionando all'interno di essi il nome del maestro di cavalleria Gaio Servilio che però non era presente al processo
Et cum ea quoque quae bello gesta essent pro fastigio rerum oratione etiam magnifica, facta dictis aequando, memorasset, nudasse pectus insigne cicatricibus bello acceptis et identidem Capitolium spectans Iouem deosque alios deuocasse ad auxilium fortunarum suarum precatusque esse ut, quam mentem sibi Capitolinam arcem protegenti ad salutem populi Romani dedissent, eam populo Romano in suo discrimine darent, et orasse singulos uniuersosque ut Capitolium atque arcem intuentes, ut ad deos immortales uersi de se iudicarent E dopo aver ripercorso le proprie gesta militari con un discorso magnifico, degno dell'altezza dell'impresa, ponendo sullo stesso piano i fatti e le parole, si sarebbe denudato il petto segnato dalle cicatrici ricevute in battaglia; poi, guardando fisso il Campidoglio e invocando Giove e gli altri dèi, li avrebbe pregati di intervenire in suo aiuto e di ispirare - in quel momento tanto critico - nel popolo romano quella stessa disposizione d'animo che essi avevano ispirato in lui quando aveva difeso la cittadella e il Campidoglio per la salvezza del popolo romano; infine si sarebbe rivolto ai singoli e alla comunità tutta, chiedendo loro di fissare lo sguardo in direzione del Campidoglio e della rocca e di giudicare il suo caso con il pensiero rivolto agli dèi immortali

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Livio, Ab urbe condita: Libro 31; 48 - 50

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 31; 48 - 50

in campo Martio cum centuriatim populus citaretur et reus ad Capitolium manus tendens ab hominibus ad deos preces auertisset, apparuit tribunis, nisi oculos quoque hominum liberassent tanti memoria decoris, nunquam fore in praeoccupatis beneficio animis uero crimini locum

ita prodicta die in Petelinum lucum extra portam Flumentanam, unde conspectus in Capitolium non esset, concilium populi indictum est

ibi crimen ualuit et obstinatis animis triste iudicium inuisumque etiam iudicibus factum

sunt qui per duumuiros, qui de perduellione anquirerent creatos, auctores sint damnatum

tribuni de saxo Tarpeio deiecerunt locusque idem in uno nomine et eximiae gloriae monumentum et poenae ultimae fuit
Mentre nel campo Marzio il popolo veniva chiamato a votare per centurie e l'imputato, con le mani tese verso il Campidoglio, stava rivolgendo le sue preghiere agli dèi dopo averle rivolte agli uomini, ai tribuni apparve chiaro che, se non avessero allontanato dagli occhi della gente il ricordo di una gloria così grande, le giuste accuse rivolte contro Manlio non avrebbero mai fatto presa in animi riconoscenti per il bene ricevuto in passato

Così, dopo aver aggiornato la seduta, essi convocarono un'assemblea del popolo nel bosco Petelino, fuori dalla porta Flumentana, da dove non era possibile vedere il Campidoglio

Lì le accuse risultarono efficaci e, facendo forza a se stessi, i cittadini pronunciarono una sentenza che risultò dura e dolorosa anche per chi l'aveva emessa

Alcuni autori sostengono che Manlio venne condannato da una commissione di duumviri nominata per far luce sul reato di alto tradimento

I tribuni lo fecero gettare giù dalla rupe Tarpea, e così lo stesso luogo fu per uno stesso uomo il ricordo perenne di una straordinaria fama e dell'estremo supplizio
adiectae mortuo notae sunt: publica una, quod, cum domus eius fuisset ubi nunc aedes atque officina Monetae est, latum ad populum est ne quis patricius in arce aut Capitolio habitaret; gentilicia altera, quod gentis Manliae decreto cautum est ne quis deinde M Manlius uocaretur

hunc exitum habuit uir, nisi in libera ciuitate natus esset, memorabilis

populum breui, postquam periculum ab eo nullum erat, per se ipsas recordantem uirtutes desiderium eius tenuit
Dopo la sua morte, gli furono inflitti due marchi di infamia: uno di natura pubblica, perché, siccome la sua casa era dove adesso sorgono il tempio e la zecca di Giunone Moneta, fu presentata al popolo una legge in base alla quale nessun patrizio potesse più andare ad abitare sulla rocca o sul Campidoglio; l'altro fu invece di natura gentilizia, perché i membri della famiglia Manlia decretarono che in futuro nessuno portasse più il nome di Marco Manlio

Fu questa la fine di un uomo che, se non fosse nato in una città libera, avrebbe lasciato traccia duratura di sé

E in breve tempo il popolo - dato che adesso Manlio non era più una fonte di pericolo - cominciò a rimpiangerlo ricordandone soltanto le qualità

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pestilentia etiam breui consecuta nullis occurrentibus tantae cladis causis ex Manliano supplicio magnae parti uideri orta: uiolatum Capitolium esse sanguine seruatoris nec dis cordi fuisse poenam eius oblatam prope oculis suis, a quo sua templa erepta e manibus hostium essent

Poco dopo scoppiò una pestilenza che causò un numero massiccio di decessi per i quali non si riuscivano a trovare ragioni plausibili e che alla maggior parte della gente sembravano una conseguenza dell'esecuzione di Manlio: si pensava infatti che il Campidoglio fosse stato contaminato dal sangue del suo salvatore e che gli dèi non avessero gradito che fosse stato punito quasi di fronte ai loro stessi occhi l'uomo che aveva strappato i loro templi dalle mani del nemico

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