Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02

Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 02
Sunt etiam, qui aut studio rei familiaris tuendae aut odio quodam hominum suum se negotium agere dicant nec facere cuiquam videantur iniuriam

Qui altero genere iniustitiae vacant, in alterum incurrunt; deserunt enim vitae societatem, quia nihil conferunt in eam studii, nihil operae, nihil facultatum

Quando igitur duobus generibus iniustitiae propositis adiunximus causas utriusque generis easque res ante constituimus, quibus iustitia contineretur, facile quod cuiusque temporis officium sit poterimus, nisi nosmet ipsos valde amabimus, iudicare: est enim difficilis cura rerum alienarum
Vi sono anche di quelli che, o per desiderio di ben custodire i propri beni, o per una certa avversione verso gli uomini, dichiarano di attendere soltanto ai loro affari, senza credere perciò di far torto ad alcuno

Costoro, se sono esenti da una specie d'ingiustizia, incorrono però nell'altra: abbandonano l'umana società, perché non dedicano ad essa né amore, né attività, né denaro

Noi poco fa abbiamo chiarito le due forme dell'ingiustizia, aggiungendovi le cause dell'una e dell'altra; e prima ancora avevamo definito la vera essenza della giustizia; sicché ora potremo facilmente determinare quali siano i nostri particolari doveri nelle singole circostanze, se non ci farà velo l'eccessivo amore di noi stessi: perché è ben difficile il prendersi a cuore gl'interessi altrui
Quamquam Terentianus ille Chremes humani nihil a se alienum putat; sed tamen, quia magis ea percipimus atque sentimus, quae nobis ipsis aut prospera aut adversa eveniunt, quam illa, quae ceteris, quae quasi longo intervallo interiecto videmus, aliter de illis ac de nobis iudicamus

Quocirca bene praecipiunt, qui vetant quicquam agere, quod dubites aequum sit an iniquum

Aequitas lucet ipsa per se, dubitatio cogitationem significat iniuriae

Sed incidunt saepe tempora, cum ea, quae maxime videntur digna esse iusto homine, eoque quem virum bonum dicimus, commutantur fiuntque contraria, ut reddere depositum, etiamne furioso

facere promissum quaeque pertinent ad veritatem et ad fidem; ea migrare interdum et non servare fit iustum
Ha un bel dire Cremete di Terenzio: Sono uomo: non c'è nulla di umano che non mi riguardi, ma tuttavia, poiché ci toccano ben più i sensi e il cuore le fortune e le sfortune nostre che non quelle degli altri (queste noi le vediamo, per cosi dire, a gran distanza), diverso è il giudizio che facciamo di di quelli e di noi

Saggio perciò è il consiglio di chi ci ammonisce di non far cosa alcuna della cui giustizia o ingiustizia siamo in dubbio

La giustizia risplende di un suo proprio splendore; il solo dubbio implica sempre un sospetto d'ingiustizia

Ma si danno spesso circostanze in cui, quelle azioni che sembrano più degne di un uomo giusto, di quello, cioè, che chiamiamo galantuomo, si mutano nel loro contrario, come, per esempio, il restituire un deposito anche a un pazzo furioso

, o il mantenere una promessa; e così, il trasgredire e il non osservare le leggi della sincerità e della lealtà, diventa talvolta cosa giusta
Referri enim decet ad ea, quae posui principio fundamenta iustitiae, primum ut ne cui noceatur, deinde ut communi utilitati serviatur

Ea cum tempore commutantur

Commutatur officium et non semper est idem

Potest enim accidere promissum aliquod et conven tum, ut id effici sit inutile vel ei, cui promissum sit, vel ei, qui promiserit

Nam si, ut in fabulis est, Neptunus, quod Theseo promiserat, non fecisset, Theseus Hippolyto filio non esset orbatus

Ex tribus enim optatis, ut scribitur, hoc erat tertium, quod de Hippolyti interitu iratus optavit; quo impetrato in maximos luctus incidit

Nec promissa igitur servanda sunt ea, quae sint is, quibus promiseris inutilia, nec si plus tibi ea noceant, quam illi prosint, cui promiseris, contra officium est, maius anteponi minori
Conviene, infatti, riportarsi sempre a quelle norme fondamentali della giustizia che ho posto im principio: primo, non far male a nessuno; poi, servire alla utilità comune

Mutano col tempo le circostanze

Muta di pari passo il dovere e non è sempre lo stesso

Può darsi infatti che qualche promessa o qualche accordo sia di natura tale che il mandarlo ad effetto procuri danno, o a chi è stata fatta o a chi l'ha fatta

In verità, se Nettuno, come raccontano le favole, non avesse mantenuto la promessa fatta a Teseo, Teseo non avrebbe perduto il figlio Ippolito

Di quei tre desideri , come si narra, gliene restava da chiedere uno, il terzo, ed ecco che, accecato dall'ira, chiese la morte d'Ippolito: poichè il desiderio era stato esaudito, egli piombò nei più atroci dolori

Dunque non si debbono mantenere quelle promesse che sono dannose alle persone a cui son fatte; se quelle promesse recano maggior danno a chi le ha fatte che vantaggio a chi le ha ricevute, non è contrario al dovere anteporre il più al meno

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Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Ut si constitueris, cuipiam te advocatum in rem praesentem esse venturum atque interim graviter aegrotare filius coeperit, non sit contra officium non facere, quod dixeris, magisque ille, cui promissum sit, ab officio discedat, si se destitutum queratur

Iam illis promissis standum non esse quis non videt, quae coactus quis metu, quae deceptus dolo promiserit

quae quidem pleraque iure praetorio liberantur, nonnulla legibus

Existunt etiam saepe iniuriae calumnia quadam et nimis callida sed malitiosa iuris interpretatione

Ex quo illud summum ius summa iniuria factum est iam tritum sermone proverbium

Quo in genere etiam in re publica multa peccantur, ut ille, qui, cum triginta dierum essent cum hoste indutiae factae, noctu populabatur agros, quod dierum essent pactae, non noctium indutiae
Così, per esempio, se tu avevi promesso a qualcuno di recarti in tribunale per assisterlo in giudizio, e nel frattempo un tuo figliuolo fosse caduto gravemente malato, non sarebbe contrario al dovere non mantener la parola, anzi mancherebbe ben di più l'altro al suo dovere, se si lamentasse dell'abbandono

Inoltre, chi non s'accorge che non bisogna mantenere le promesse che si son fatte o costretti da paura o tratti in inganno

E appunto la maggior parte di questi obblighi è annullata dal diritto pretorio; alcuni di essi anche dalle leggi

Si commettono spesso ingiustizie anche per una certa tendenza al cavillo, cioè per una troppo sottile, ma in realtà maliziosa, interpretazione del diritto

Di qui il comune e ormai trito proverbio: somma giustizia, somma ingiustizia

A questo riguardo, si commettono molti errori anche nella vita pubblica; come, per esempio, quel tale che, conclusa col nemico una tregua di trenta giorni, andava di notte a saccheggiar le campagne, col pretesto che il patto parlava di giorni e non di notti
Ne noster quidem probandus, si verum est Q Fabium Labeonem seu quem alium--nihil enim habeo praeter auditum --arbitrum Nolanis et Neapolitanis de finibus a senatu datum, cum ad locum venisset, cum utrisque separatim locutum, ne cupide quid agerent, ne appetenter, atque ut regredi quam progredi mallent

Id cum utrique fecissent, aliquantum agri in medio relictum est

Itaque illorum finis sic, ut ipsi dixerant, terminavit; in medio relictum quod erat, populo Romano adiudicavit

Decipere hoc quidem est, non iudicare

Quocirca in omni est re fugienda talis sollertia

Sunt autem quaedam officia etiam adversus eos servanda, a quibus iniuriam acceperis
Non merita lode neppure, -se il fatto è vero -, quel nostro concittadino, sia egli Quinto Fabio Labeone o qualcun altro (io non ne so più che per sentito dire); il senato l'aveva mandato ai Nolani e ai Napoletani, come arbitro per una questione di confini, venuto egli sul luogo, parlò separatamente agli uni e agli altri, raccomandando che non trascendessero in atti di avidità e di prepotenza, anzi volessero piuttosto retrocedere che avanzare

Così fecero gli uni e gli altri, e un bel tratto di terreno rimase libero nel mezzo

Allora egli fissò i confini dei due popoli come essi avevano detto; e il terreno rimasto nel mezzo, l'assegnò al popolo romano

Questo si chiama ingannare, non giudicare

Perciò, in ogni circostanza, conviene evitare simili furberie

Vi sono poi certi doveri che bisogna osservare anche nei confronti di coloro che ci hanno offeso

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 05

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 05

Est enim ulciscendi et puniendi modus; atque haud scio an satis sit eum, qui lacessierit iniuriae suae paenitere, ut et ipse ne quid tale posthac et ceteri sint ad iniuriam tardiores

Atque in re publica maxime conservanda sunt iura belli

Nam cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius, si uti non licet superiore

Quare suscipienda quidem bella sunt ob eam causam, ut sine iniuria in pace vivatur, parta autem victoria conservandi i, qui non crudeles in bello, non inmanes fuerunt
C'è una misura anche nella vendetta e nel castigo; anzi, io non so se non basti che il provocatore si penta della sua offesa, perché egli non ricada mai più in simile colpa, e gli altri siano meno pronti all'offesa

Ma soprattutto nei rapporti fra Stato e Stato si debbono osservare le leggi di guerra

In verità, ci sono due maniere di contendere: con la ragione e con la forza; e poiché la ragione è propria dell'uomo e la forza è propria delle bestie, bisogna ricorrere alla seconda solo quando non ci si può avvalere della prima

Si devono perciò intraprendere le guerre al solo scopo di vivere in sicura e tranquilla pace; ma, conseguita la vittoria, si devono risparmiare coloro che, durante la guerra, non furono né crudeli né spietati
Ut maiores nostri Tusculanos, Aequos, Volscos, Sabinos, Hernicos in civitatem etiam acceperunt, at Karthaginem et Numantiam funditus sustulerunt; nollem Corinthum, sed credo aliquid secutos, oportunitatem loci maxime, ne posset aliquando ad bellum faciendum locus ipse adhortari

Mea quidem sententia paci, quae nihil habitura sit insidiarum, semper est consulendum

In quo si mihi esset obtemperatum, si non optimam, at aliquam rem publicam, quae nunc nulla est, haberemus

Et cum iis, quos vi deviceris consulendum est, tum ii, qui armis positis ad imperatorum fidem confugient, quamvis murum aries percusserit, recipiendi

In quo tantopere apud nostros iustitia culta est, ut ii, qui civitates aut nationes devictas bello in fidem recepissent, earum patroni essent more maiorum
Così, i nostri padri concessero perfino la cittadinanza ai Tusculani, agli Equi, ai Volsci, ai Sabini, agli Ernici; ma distrussero dalle fondamenta Cartagine e Numanzia; non avrei voluto la distruzione di Corinto; ma forse essi ebbero le loro buone ragioni, soprattutto la felice posizione del luogo, temendo che appunto il luogo fosse, o prima o poi, occasione e stimolo a nuove guerre

A mio parere, bisogna procurar sempre una pace che non nasconda insidie

E se in ciò mi si fosse dato ascolto, noi avremmo, se non un'ottimo Stato, almeno uno Stato, mentre ora non ne abbiamo nessuno

E se bisogna provvedere a quei popoli che sono stati pienamente sconfitti, tanto più si devono accogliere e proteggere quelli che, deposte le armi, ricorreranno alla lealtà dei capitani, anche se l'ariete abbia già percosso le loro mura

E a questo riguardo i Romani furono così rigidi osservanti della giustizia che quegli stessi capitani che avevano accolto sotto la loro protezione città o nazioni da loro sconfitte, ne divenivan poi patroni, secondo il costume dei nostri antenati

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 01

Ac belli quidem aequitas sanctissime fetiali populi Romani iure perscripta est

Ex quo intellegi potest nullum bellum esse iustum, nisi quod aut rebus repetitis geratur aut denuntiatum ante sit et indictum

[Popilius imperator tenebat provinciam, in cuius exercitu Catonis filius tiro militabat

Cum autem Popilio videretur unam dimittere legionem, Catonis quoque filium, qui in eadem legione militabat, dimisit

Sed cum amore pugnandi in exercitu remansisset, Cato ad Popilium scripsit, ut, si eum patitur in exercitu remanere, secundo eum obliget militiae sacramento, quia priore amisso iure cum hostibus pugnare non poterat

Adeo summa erat observatio in bello movendo]

M quidem Catonis senis est epistula ad M filium, in qua scribit se audisse eum missum factum esse a consule cum in Macedonia bello Persico miles esset
E appunto la regolare condotta della guerra è stata scrupolosamente definita dal diritto feziale del popolo romano

Da ciò si può dedurre che non è guerra giusta se non quella che si combatte o dopo aver chiesto riparazione dell'offesa, o dopo averla minacciata e dichiarata

[Era a capo d'una provincia il comandante Popilio, nel cui esercito militava come coscritto il figlio di Catone

Parve opportuno a Popilio congedare una legione, e quindi congedò anche il figlio di Catone che a quella legione apparteneva

Ma poiché, per desiderio di combattere, egli volle rimanere nell'esercito, Catone scrisse a Popilio che, se permetteva a suo figlio di restare, l'obbligasse a prestare un secondo giuramento militare perché, sciolto dal primo, non poteva legittimamente combattere col nemico]

Tanto rigorosa era l'osservanza del diritto anche nella condotta della guerra

[C'è una lettera del vecchio Catone al figlio Marco, nella quale scrive d'aver saputo che egli era stato congedato dal console, mentre si trovava come soldato in Macedonia, nella guerra contro Perseo
Monet igitur ut caveat, ne proelium ineat; negat enim ius esse, qui miles non sit cum hoste pugnare

Equidem etiam illud animadverto, quod, qui proprio nomine perduellis esset, is hostis vocaretur, lenitate verbi rei tristitiam mitigatam

Hostis enim apud maiores nostros is dicebatur, quem nunc peregrinum dicimus

Indicant duodecim tabulae: aut status dies cum hoste, itemque adversus hostem aeterna auctoritas

Quid ad hanc mansuetudinem addi potest

eum, quicum bellum geras, tam molli nomine appellare

Quamquam id nomen durius effecit iam vetustas; a peregrino enim recessit et proprie in eo, qui arma contra ferret, remansit
L'ammonisce dunque di guardarsi bene dall'entrar in battaglia: non è giusto - dice - che chi non è soldato, combatta col nemico

Voglio anche osservare che, chi doveva chiamarsi, con vocabolo proprio, perduellis (nemico di guerra), era invece chiamato hostis (straniero), temperando così con la dolcezza della parola la durezza della cosa

Difatti i nostri antenatii chiamavano hostis quello che noi oggi chiamiamo peregrinus (forestiero)

Ne danno prova le dodici tavole: Aut status dies cum hoste (o il giorno fissato, per un giudizio, con uno straniero), e cosi ancora: Adversus hostem aeterna auctoritas (Verso lo straniero l'azione giuridica non è soggetta a prescrizione)

Che cosa si può aggiungere a una così grande mitezza

Chiamare con un nome così benigno colui col quale si combatte

E' ben vero che ormai il lungo tempo trascorso ha reso questo vocabolo assai più duro: esso ha perduto il significato di forestiero per indicare propriamente colui che ti vien contro con l'armi in pugno

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 04

Cum vero de imperio decertatur belloque quaeritur gloria, causas omnino subesse tamen oportet easdem, quas dixi paulo ante iustas causas esse bellorum

Sed ea bella, quibus imperii proposita gloria est, minus acerbe gerenda sunt

Ut enim cum civi aliter contendimus, si est inimicus, aliter si competitor (cum altero certamen honoris et dignitatis est, cum altero capitis et famae) sic cum Celtiberis, cum Cimbris bellum ut cum inimicis gerebatur, uter esset, non uter imperaret, cum Latinis, Sabinis, Samnitibus, Poenis, Pyrrho de imperio dimicabatur

Poeni foedifragi, crudelis Hannibal, reliqui iustiores

Pyrrhi quidem de captivis reddendis illa praeclara: Nec mi aurum posco nec mi pretium dederitis
Quando, poi, si combatte per la supremazia, e con la guerra si cerca la gloria, occorre che anche allora le ostilità siano aperte per quelle stesse ragioni che, come ho detto poco fa anzi, sono giuste ragioni di guerra

Queste guerre, però, che hanno come scopo la gloria del primato, si devono condurre con meno asprezza

Come, con un cittadino, si contende in un modo, se è un nemico personale, in un altro, se è un competitore politico (con questo la lotta è per l'onore e la dignità, con quello per la vita e il buon nome), cosi coi Celtiberi e coi Cimbri si guerreggiava come con veri nemici, non per il primato, ma per l'esistenza; per contro, coi Latini, coi Sabini, coi Sanniti, coi Cartaginesi, con Pirro si combatteva per il primato

Fedifraghi e spergiuri furono i Cartaginesi, crudele fu Annibale; più giusti gli altri

Splendida fu davvero la risposta che Pirro diede ai nostri legati sul riscatto dei prigionieri: Io non chiedo oro per me, e voi a me non offrirete riscatto

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