Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02, pag 3

Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 02
Neque ulla re longius absumus a natura ferarum, in quibus inesse fortitudinem saepe dicimus, ut in equis, in leonibus, iustitiam, aequitatem, bonitatem non dicimus; sunt enim rationis et orationis expertes

Ac latissime quidem patens hominibus inter ipsos, omnibus inter omnes societas haec est

In qua omnium rerum, quas ad communem hominum usum natura genuit, est servanda communitas, ut quae discripta sunt legibus et iure civili, haec ita teneantur, ut sit constitutum e quibus ipsis, cetera sic observentur, ut in Graecorum proverbio est, amicorum esse communia omnia

Omnium autem communia hominum videntur ea, quae sunt generis eius, quod ab Ennio positum in una re transferri in permultas potest: Homo, qui erranti comiter monstrat viam, quasi lumen de suo lumine accendat, facit
Ed è questo il carattere che più ci allontana dalla natura delle bestie: noi diciamo spesso che nelle bestie c'è la forza - come nei cavalli e nei leoni -, ma non la giustizia, né l'equità, né la bontà; perché quelle son prive di ragione e di parola

Questa, dunque, è la più ampia forma di società che esista

In quanto comprende e unisce tutti gli uomini con tutti gli altri uomini: in essa, quei beni che le leggi e il diritto civile assegnano ai privati, siano dai privati tenuti e goduti come appunto dispongono le leggi; ma tutti quegli altri beni che la natura produce per il comune vantaggio degli uomini siano tenuti e goduti dagli uomini come patrimonio di tutti e di ciascuno, così come raccomanda il proverbio greco: Gli amici hanno tutto in comune con gli amici

E comuni a tutti gli uomini sono evidentemente quei beni che appartengono a quel genere che, indicato da Ennio in un singolo esempio, può facilmente estendersi a moltissimi altri casi: l'uomo che mostra cortesemente la via a un viandante smarrito, fa come se dal suo lume accendesse un altro lume
Nihilo minus ipsi lucet, cum illi accenderit

Una ex re satis praecipit, ut quidquid sine detrimento commodari possit, id tribuatur vel ignoto

Ex quo sunt illa communia: non prohibere aqua profluente, pati ab igne ignem capere, si qui velit, consilium fidele deliberanti dare, quae sunt iis utilia, qui accipiunt, danti non molesta

Quare et his utendum est et semper aliquid ad communem utilitatem afferendum

Sed quoniam copiae parvae singulorum sunt, eorum autem, qui his egeant, infinita est multitudo, vulgaris liberalitas referenda est ad illum Ennii finem nihil hominus ipsi lucet, ut facultas sit, qua in nostros simus liberales

Gradus autem plures sunt societatis hominum
La sua fiaccola non gli risplende meno, dopo che ha acceso quella dell'altro

Con un solo ed unico esempio il poeta ci insegna che, quanto possiamo concedere senza nostro danno, tutto dobbiamo accordare anche a uno sconosciuto

Di qui le massime comuni: non impedir l'uso di un'acqua corrente; permetti che, chi vuole, accenda il suo fuoco dal tuo fuoco; dà un buon consiglio a chi è in dubbio; tutte cose che sono utili a chi le riceve, e che, a chi le dà, non sono affatto dannose

A queste massime, dunque, dobbiamo attenerci e, in più, portare sempre qualche contributo al bene comune

Ma, poiché i mezzi delle singole persone sono scarsi, e infinito è il numero dei bisognosi, questa liberalità aperta a tutti si restringa entro il limite posto da Ennio: La sua fiaccola non gli risplende meno, sì che ci resti la possibilità di essere generosi verso i nostri cari

La società umana ha diversi gradi o forme
Ut enim ab illa infinita discedatur, proprior est eiusdem gentis, nationis, linguae, qua maxime homines coniunguntur

Interius etiam est eiusdem esse civitatis; multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia, consuetudines praeterea et familiaritates multisque cum multis res rationesque contractae

Artior vero colligatio est societatis propinquorum; ab illa enim inmensa societate humani generis in exiguum angustumque concluditur

Nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia

Id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae
La società più ampia, dopo quella che non ha confini e di cui abbiamo già parlato, è quella che consiste nell'identità di nazione e di linguaggio, che è il vincolo più saldo che unisca gli uomini fra loro

Società più intima ancora è quella di appartenere alla stessa città: molte cose i cittadini hanno in comune fra loro, come il fòro, i templi, i portici, le strade, le leggi, i diritti, i tribunali, i suffragi; inoltre, la familiarità e le amicizie, i molteplici e scambievoli rapporti d'interessi e di affari

Ancora più stretto è il legame che avvince i membri di una stessa famiglia: la società umana, da quella forma universale e infinita, si restringe così a una cerchia piccola e angusta

In verità, tutti gli esseri viventi tendono per naturale istinto alla procreazione, e perciò la prima forma di società si attua nell'accoppiamento sessuale; la seconda, nella prole, e quindi nell'unità della casa e nella comunanza di tutti i beni

Ed è questo il primo principio della città e, direi quasi, il semenzaio dello Stato

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Sequuntur fratrum coniunctiones, post consobrinorum sobrinorumque, qui cum una domo iam capi non possint, in alias domos tamquam in colonias exeunt

Sequuntur conubia et affinitates ex quibus etiam plures propinqui; quae propagatio et suboles origo est rerum publicarum

Seguono le unioni tra fratelli e sorelle, poi tra cugini e biscugini, i quali, quando una sola casa non può più contenerli escono a fondar nuove case, quasi come colonie

Seguono i matrimoni , le affinità , per cui si moltiplicano le parentele; e in questo propagarsi e pullulare della prole è appunto l'origine degli Stati

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