Come sappiamo, per Parini la classe aristocratica, rappresenta una grande guida per la società, posto che gli tocca per eredità. Infatti a loro spetta il compito di governo per il bene sociale collettivo. Quindi è necessario che sfruttino il proprio potere per soddisfare la comunità. Ma, Parini spiega anche, che nel corso della storia, questa società ha acquisito molti vizi e difetti, tanto da non poter più considerare il loro potere, come una virtù realizzabile in società. Questo perché, diventata egoista, questa classe sociale, non pensa più al bene comune, ma solo al proprio "sé", solo a soddisfare i propri bisogni, creando così un mondo, da cui borghesia e classe media vengono escluse completamente. Il potere quindi, va a soddisfare solo una piccolissima percentuale di popolazione, che fa parte di questo mondo contemporaneo, tanto da diventare "nemico" della restante maggior parte.
Nel senso che, la classe dirigente, che dovrebbe esercitare questo potere, offuscata dai propri vizi e dai propri desideri non lascia che questo potere superi loro stessi. E così nella società va a consolidarsi una figura che cerca di emergere da queste storture, per portare in alto quelli che sono i veri principi e le vere virtù, rimaste schiacciate dal peso di una società sempre più corrotta. Nasce così la figura di quell'uomo di lettere che decide di rimanere estraneo a qualsiasi contatto con quello stesso potere che ha distrutto ormai quasi tutto. In modo tale da non rimanere anch'egli sopraffatto, entrando così in un circolo vizioso da cui difficilmente si potrà riemergere. Così questo uomo, che possiamo identificare a questo punto con il poeta, ha il compito di far riemergere quelli che sono i sani principi della società.
Così egli, facendo appello alla propria etica, sana ed integerrima, cerca di estenderne gli effetti a tutta la cittadinanza contemporanea, per poterla svegliare una volta per tutte. Intraprende così la sua battaglia, con fiero risentimento, proclamando la qualità etica e civile della propria poesia. Però per vincere la battaglia, il poeta, non può venir meno agli ideali in cui crede: deve difendere con la propria letteratura, non le passioni ingannevoli del corpo ma i nobili valori dello spirito, a partire dalla giustizia, guadagnandosi così la gratitudine dei lettori. La poesia non è frode, diletto o adulazione, con cui procurarsi la lode o la remunerazione dei concittadini. Al disdegno altrui egli oppone la perseveranza e la tenacia sulla via intrapresa, senza orgoglio e senza credere alle umiliazioni. L'indipendenza spirituale, prima che finanziaria, è il valore difeso, come garanzia di autonomia morale dello scrittore.