Livio, Ab urbe condita: Libro 32; 21 - 40, pag 4

Livio, Ab urbe condita: Libro 32; 21 - 40

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 32; 21 - 40
[30] Boiorum exercitus haud ita multo ante traiecerat Padum iunxeratque se Insubribus et Cenomanis, quod ita acceperant coniunctis legionibus consules rem gesturos ut et ipsi conlatas in unum vires firmarent

Postquam fama accidit alterum consulem Boiorum urere agros, seditio extemplo orta est: postulare Boi ut laborantibus opem universi ferrent, Insubres negare se sua deserturos

Ita divisae copiae Boisque in agrum suum tutandum profectis Insubres cum Cenomanis super amnis Minci ripam consederunt

Infra eum locum duo milia passuum et consul Cornelius eidem flumini castra adplicuit
[30] Non molto prima l'esercito dei Boi aveva passato il Po e si era riunito agli Insubri e ai Cenomani, poiché avevano ricevuto la notizia che i consoli avrebbero condotto la guerra unendo le loro legioni e anch'essi volevano rafforzarsi unendo le proprie forze

Quando si diffuse la voce che il console bruciava i campi dei Boi, sùbito scoppiò la discordia: i Boi chiedevano che tutti portassero aiuto a chi si trovava in difficoltà, gli Insubri rifiutavano di abbandonare le loro terre

Così le truppe si divisero, i Boi partirono per difendere il loro territorio e gli Insubri e i Cenomani presero posizione sulla riva del Mincio

Anche il console Cornelio si accampò sullo stesso fiume, due miglia a valle
Inde mittendo in vicos Cenomanorum Brixiamque quod caput gentis erat, ut satis comperit non ex auctoritate seniorum iuventutem in armis esse nec publico consilio Insubrum defectioni Cenomanos sese adiunxisse, excitis ad se principibus id agere ac moliri coepit ut desciscerent ab Insubribus Cenomani et sublatis signis aut domos redirent aut ad Romanos transirent

Et id quidem impetrari nequiit: in id fides data consuli est ut in acie aut quiescerent aut, si qua etiam occasio fuisset, adiuvarent Romanos

Haec ita convenisse Insubres ignorabant; suberat tamen quaedam suspicio animis labare fidem sociorum

Itaque cum in aciem eduxissent, neutrum iis cornu committere ausi ne, si dolo cessissent, rem totam inclinarent, post signa in subsidiis eos locaverunt
Mandando di là degli informatori per i villaggi dei Cenomani e a Brescia, la loro capitale, accertò che non per volontà degli anziani i giovani erano in armi e che non a séguito di pubblica decisione i Cenomani si erano uniti nella ribellione agli Insubri, fece allora venire a sé i loro capi e cominciò ad adoperarsi in tutti i modi perché i Cenomani si staccassero dagli Insubri, ritirassero le loro truppe e tornassero alle loro case oppure passassero dalla parte dei Romani

Questo non riuscì a ottenerlo; venne però assicurato al console che durante la battaglia sarebbero rimasti inoperosi oppure anche, se se ne fosse presentata l'occasione, avrebbero aiutato i Romani

Gli Insubri ignoravano questi accordi, tuttavia si era insinuato nel loro animo qualche sospetto sulla lealtà degli alleati

Così quando si schierarono in campo non osarono affidare ad essi una delle ali e per evitare che ritirandosi per tradimento facessero decidere tutta la battaglia li collocarono di riserva dietro le insegne
Consul principio pugnae vovit aedem Sospitae Iunoni si eo die hostes fusi fugatique fuissent: a militibus clamor sublatus compotem voti consulem se facturos, et impetus in hostes est factus

Non tulerunt Insubres primum concursum

Quidam et a Cenomanis terga repente in ipso certamine adgressis tumultum ancipitem iniectum auctores sunt caesaque in medio quinque et triginta milia hostium, quinque milia et ducentos vivos captos, in iis Hamilcarem Poenorum imperatorem, qui belli causa fuisset; signa militaria centum triginta et carpenta supra ducenta

Multa oppida Gallorum, quae Insubrum defectionem secuta erant, dediderunt se Romanis

[31] Minucius consul primo effusis populationibus peragraverat fines Boiorum, deinde, ut relictis Insubribus ad sua tuenda receperant sese, castris se tenuit acie dimicandum cum hoste ratus
All'inizio della battaglia il console fece voto di un tempio a Giunone Sospita se in quel giorno i nemici fossero stati sbaragliati e volti in fuga: dai soldati si alzò il grido che essi avrebbero esaudito il voto del console e si attaccarono i nemici

Gli Insubri non ressero al primo assalto

Alcuni sostengono anche che i Cenomani, attaccandoli improvvisamente alle spalle durante la battaglia, gettarono la confusione nelle loro file su due fronti e che, presi in mezzo, trentacinquemila nemici furono uccisi, cinquemiladuecento catturati vivi, tra cui il generale cartaginese Amilcare che aveva provocato la guerra; vennero prese centotrenta insegne e oltre

Molte città dei Galli, che avevano seguito la defezione degli Insubri, furono restituite ai romani

[31] Il console Minucio in un primo tempo aveva percorso saccheggiandolo ampiamente il territorio dei Boi, poi quando essi, abbandonati gli Insubri, erano tornati per difenderlo, era rimasto nel suo accampamento, pensando che avrebbe dovuto combattere col nemico in campo aperto

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Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 13 - 14
Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 13 - 14

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 13 - 14

Nec Boi detrectassent pugnam, ni fama Insubres victos allata animos fregisset; itaque relicto duce castrisque dissipati per vicos sua quisque ut defenderent, rationem gerendi belli hosti mutarunt

Omissa enim spe per unam dimicationem rei decernendae rursus populari agros et urere tecta vicosque expugnare coepit

Per eosdem dies Clastidium incensum

Inde in Ligustinos Ilvates, qui soli non parebant, legiones ductae

Ea quoque gens ut Insubres acie victos, Boios ita ut temptare spem certaminis non auderent territos audivit, in dicionem venit

Litterae consulum amborum de rebus in Gallia prospere gestis sub idem tempus Romam allatae

M Sergius praetor urbanus in senatu eas, deinde ex auctoritate patrum ad populum recitavit; supplicatio in quadriduum decreta
I Boi non avrebbero rifiutato la battaglia se la notizia della sconfitta degli Insubri non li avesse demoralizzati; pertanto, abbandonato il loro comandante e il loro accampamento, si dispersero per i villaggi per difendere ciascuno le proprie cose e fecero così cambiare tattica al nemico

Difatti, perduta la speranza di risolvere la guerra con una sola battaglia, riprese a devastare i campi, a bruciare le case e ad assalire i villaggi

In quegli stessi giorni venne dato alle fiamme Casteggio

Poi si condussero le legioni contro i Liguri Ilvati, gli unici che non si erano sottomessi

Anche quella popolazione, dopo aver saputo che gli Insubri erano stati vinti in battaglia e i Boi erano atterriti al punto di non osare tentare la sorte delle armi, venne ad arrendersi

Nel medesimo tempo furono portate a Roma lettere dei due consoli a proposito dei successi ottenuti in Gallia

Il pretore urbano M Sergio le lesse in senato, poi, per volontà dei senatori, al popolo; vennero decretati quattro giorni di pubbliche preghiere
[32] Hiems iam eo tempore erat, et cum T Quinctius capta Elatia in Phocide ac Locride hiberna disposita haberet, Opunte seditio orta est

Factio una Aetolos, qui propiores erant, altera Romanos accersebat

Aetoli priores venerunt; sed opulentior factio exclusis Aetolis missoque ad imperatorem Romanum nuntio usque in adventum eius tenuit urbem

Arcem regium tenebat praesidium neque ut decederent inde aut Opuntiorum minui aut auctoritate imperatoris Romani perpelli potuerunt

Mora cur non extemplo oppugnarentur ea fuit quod caduceator ab rege venerat locum ac tempus petens conloquio
[32] Era ormai la brutta stagione e mentre T Quinzio, conquistata Elazia, teneva le sue truppe divise nei quartieri d'inverno nella Focide e nella Locride, scoppiarono dei disordini ad Opunte

Un partito si rivolgeva per aiuto agli Etoli, che erano più vicini, l'altro ai Romani

Giunsero per primi gli Etoli, ma il partito dei cittadini più ricchi chiuse le porte agli Etoli, mandò un messo al comandante romano e tenne la città fino al suo arrivo

La rocca era in mano a una guarnigione del re e né le minacce degli abitanti di Opunte né l'autorità del comandante romano poterono indurla ad abbandonarla

Ciò che impedì di attaccarla immediatamente fu l'arrivo di un parlamentare del re che chiedeva di fissare un luogo e una data per un colloquio

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Livio, Ab urbe condita: Libro 45; 23 - 44
Livio, Ab urbe condita: Libro 45; 23 - 44

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 45; 23 - 44

Id gravate regi concessum est, non quin cuperet Quinctius per se partim armis, partim condicionibus confectum videri bellum: necdum enim sciebat utrum successor sibi alter ex novis consulibus mitteretur an, quod summa vi ut tenderent amicis et propinquis mandaverat, imperium prorogaretur; aptum autem fore conloquium credebat ut sibi liberum esset vel ad bellum manenti vel ad pacem decedenti rem inclinare

In sinu Maliaco prope Nicaeam litus elegere

Eo rex ab Demetriade cum quinque lembis et una nave rostrata venit: erant cum eo principes Macedonum et Achaeorum exul, vir insignis, Cycliadas

Cum imperatore Romano rex Amynander erat et Dionysodorus Attali legatus et Acesimbrotus praefectus Rhodiae classis et Phaeneas princeps Aetolorum et Achaei duo, Aristaenus et Xenophon
Questo venne concesso al re a malincuore, non già perché Quinzio non desiderasse far apparire da lui risolta la guerra, parte con le armi parte mediante trattative, ma perché ancora non sapeva se gli sarebbe stato mandato un successore nella persona di uno dei due nuovi consoli se invece gli sarebbe stato prorogato il comando, al quale scopo aveva raccomandato ad amici e parenti di adoperarsi con tutte le loro forze; comunque riteneva un colloquio opportuno per avere la libertà di far inclinare la situazione verso la guerra, se fosse rimasto, o verso la pace, se avesse dovuto partire

Scelsero la riva del golfo maliaco presso Nicea

Il re vi giunse da Demetriade con cinque battelli e una nave rostrata: erano con lui due a capi macedoni un esule acheo, Cicliade, un uomo famoso

Con il comandante romano erano il re Aminandro, Dionisodoro, rappresentante di Attalo, Agesimbroto, comandante della flotta rodiese, Fenea, capo degli Etoli, e due Achei, Aristeno Senofonte
Inter hos Romanus extremum litus progressus, cum rex in proram navis in ancoris stantis processisset, 'commodius' inquit, 'si in terram egrediaris, ex propinquo dicamus in vicem audiamusque'

Cum rex facturum se id negaret, 'quem tandem' inquit Quinctius 'times

' Ad hoc ille superbo et regio animo: 'neminem equidem timeo praeter deos immortales: non omnium autem credo fidei quos circa te video, atque omnium minime Aetolis'

'Istuc quidem' ait Romanus 'par omnibus periculum est qui cum hoste ad conloquium congrediuntur, si nulla fides sit

' 'Non tamen' inquit, 'Tite Quincti, par perfidiae praemium est, si fraude agatur, Philippus et Phaeneas; neque enim aeque difficulter Aetoli praetorem alium ac Macedones regem in meum locum substituant
Il Romano, spintosi insieme ad essi fin sul bordo del mare, mentre il re andava sulla prora della nave all'ancora, disse: - potremo più agevolmente parlare e ascoltare a vicenda se scenderai a terra

- Poiché il re rifiutò di farlo, Quinzio riprese: - Ma di chi hai paura

- Al che Filippo, con orgoglio di re: -io non temo nessuno, ad eccezione degli dèi immortali: però non ho fiducia nella lealtà di tutti coloro che vedo intorno a te, e meno fra tutti degli Etoli -

- questo - disse il Romano - un pericolo uguale per tutti coloro che vengono a un colloquio con il nemico, ammesso che non vi sia lealtà -

- Non però uguale - rispose - o Tito Quinzio, se si agirà con l'inganno, è il prezzo del tradimento: Filippo o Fenea; poiché non sarebbe così difficile per gli Etoli trovare un altro pretore come per i Macedoni un re che mi sostituisca

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Livio, Ab urbe condita: Libro 42; 01 - 15
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 42; 01 - 15

' [33] Secundum haec silentium fuit, cum Romanus eum aequum censeret priorem dicere qui petisset conloquium, rex eius esse priorem orationem qui daret pacis leges, non qui acciperet; tum Romanus: simplicem suam orationem esse; ea enim se dicturum quae ni fiant nulla sit pacis condicio

Deducenda ex omnibus Graeciae civitatibus regi praesidia esse, captivos et transfugas sociis populi Romani reddendos, restituenda Romanis ea Illyrici loca quae post pacem in Epiro factam occupasset, Ptolomaeo Aegypti regi reddendas urbes quas post Philopatoris Ptolomaei mortem occupavisset

Suas populique Romani condiciones has esse; ceterum et socium audiri postulata verum esse
[33] Dopo queste parole ci fu un periodo di silenzio, poiché il Romano credeva giusto che parlasse per primo chi aveva richiesto il colloquio, il re che prendesse per primo la parola chi dettava le condizioni di pace, non chi le subiva: allora il Romano disse che il suo discorso sarebbe stato assai semplice; avrebbe enunciato condizioni senza la cui attuazione non ci sarebbe stata pace stabile

Il re doveva ritirare le sue guarnigioni da tutte le città della Grecia, restituire agli alleati del popolo romano prigionieri e disertori, restituire ai Romani quelle località dell'Illiria che aveva occupato dopo la pace conclusa in Epiro; restituire al re d'Egitto Tolomeo le città che aveva occupato dopo la morte di Tolomeo Filopatore

Queste erano le condizioni sue e del popolo romano: era giusto però ascoltare anche le richieste degli alleati
Attali regis legatus naves captivosque quae ad Chium navali proelio capta essent, et Nicephorium Venerisque templum quae spoliasset evastassetque, pro incorruptis restitui; Rhodii Peraean- regio est continentis adversus insulam, vetustae eorum dicionisrepetebant postulabantque praesidia deduci ab Iaso et a Bargyliis et Euromensium urbe et in Hellesponto Sesto atque Abydo, et Perinthum Byzantiis in antiqui formulam iuris restitui, et liberari omnia Asiae emporia portusque

Achaei Corinthum et Argos repetebant

Praetor Aetolorum Phaeneas cum eadem fere quae Romani ut Graecia decederetur postulasset redderenturque Aetolis urbes quae quondam iuris ac dicionis eorum fuissent, excepit orationem eius princeps Aetolorum Alexander, vir ut inter Aetolos facundus
Il rappresentante del re Attalo chiese la restituzione delle navi e dei prigionieri catturati nella battaglia navale di Chio s e la restaurazione nelle condizioni originarie del Niceforio a e del tempio di Venere, che Filippo aveva spogliato e devastato, i Rodiesi chiedevano la Perea, una regione della terraferma di fronte alla loro isola, già da molto tempo in loro possesso, e volevano che fossero ritirate le guarnigioni da Iaso, da Bargilie, dalla città di Eurome e da Sesto ed Abido nell'Ellesponto, che Perinto 10 fosse restituita ai Bizantini con l'antica forma legislativa, che tutti i mercati e i porti dell'Asia fossero resi liberi

Gli Achei chiedevano Corinto e Argo

Il pretore degli Etoli Fenea fece all'incirca le medesime richieste: ritiro dalla Grecia, restituzione agli Etoli delle città che erano state un tempo sotto l'autorità delle loro leggi, prese la parola dopo di lui un capo etolo, Alessandro, abbastanza eloquente per essere un Etolo

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 06, 31-35

Iam dudum se reticere ait, non quo quicquam agi putet eo conloquio, sed ne quem sociorum dicentem interpellet: nec de pace cum fide Philippum agere nec bella vera virtute unquam gessisse

In conloquiis insidiari et captare; in bello non congredi aequo campo neque signis conlatis dimicare, sed refugientem incendere ac diripere urbes et vincentium praemia victum corrumpere

At non antiquos Macedonum reges, sed acie bellare solitos, urbibus parcere quantum possent, quo opulentius haberent imperium

Nam de quorum possessione dimicetur tollentem nihil sibi praeter bellum relinquere, quod consilium esse

Plures priore anno sociorum urbes in Thessalia evastasse Philippum quam omnes qui unquam hostes Thessaliae fuerint
Disse che da tempo rimaneva in silenzio non perché pensasse che quel colloquio desse qualche risultato, ma per non interrompere il discorso di qualche alleato: Filippo non discuteva della pace in buona fede, così come non aveva mai condotto la guerra con autentico valore

Nei colloqui tendeva insidie e cercava di ingannare, in guerra non combatteva in campo aperto con le truppe schierate, ma fuggendo incendiava e saccheggiava le città e, sconfitto, guastava il guadagno dei vincitori

Non così facevano gli antichi sovrani macedoni: erano soliti combattere in campo aperto e risparmiare, nei limiti del possibile, le città perché più ricco fosse il loro impero

Che senso c'è, infatti, a distruggere quello per cui si combatte, a non lasciare per sé nulla fuorché la guerra

L'anno precedente Filippo aveva devastato in Tessaglia città alleate in numero maggiore di quante ne avessero mai distrutte tutti i nemici della Tessaglia messi insieme

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