Le donne violentate, gli uomini uccisi, oggi di questi pogrom non si ha quasi più memoria, ma a quei tempi conquistarono le prime pagine dei più importanti giornali internazionali. Le testimonianze dei sopravvissuti, immigrati o sfollati, portarono le principali associazioni umanitarie a lanciare un grido d'allarme: 6 milioni di ebrei erano a rischio di sterminio. Una profezia che si sarebbe tristemente avverata di li a vent'anni.
Durante il periodo tra le due guerre, gli ebrei non si limitarono a parlare della violenza dei pogrom in termini catastrofici, ma agirono di conseguenza. Fuggirono a milioni dalla regione minacciata, alternando in maniera radicale la demografia della comunità ebraica mondiale. Crearono una capillare rete di organizzazioni filantropiche e di auto sostegno. Fecero pressione sulle grandi potenze, spingendo i neonati stati di Polonia e Romania ad accettare clausole a garanzia dei diritti delle minoranze nelle rispettive carte costituzionali. Colonizzarono nuove terre, gettando le basi per la fondazione di uno stato ebraico in Palestina. Commemorarono i pogrom in elegie e nell'arte. In Unione Sovietica, uno degli stati successori della regione devastata, entrarono a far parte della pubblica amministrazione, della burocrazia governativa e delle forze dell'ordine con il preciso scopo di impedire il ripetersi di simili atrocità e di assicurarne il responsabile alla giustizia. Agirono, da soli e in gruppo, per scongiurare quella che in molti ritenevano fermamente una catastrofe imminente.
Le centinaia di migliaia di profughi ebrei giunti a Parigi, Berlino, Vienna, Budapest e Varsavia misero a dura prova le risorse delle città logorate dal conflitto. Propagandisti e liberisti demagogici alimentarono il timore che i nuovi arrivati fossero bolscevichi in incognito, innescando un terrore rosso su scala mondiale e aprendo la strada all'ascesa dei movimenti politici di destra. I governi reagirono con l'emissioni di nuove norme frontaliere; Romania, Ungheria, Polonia, Germania, Stati Uniti, Argentina e Palestina britannica - i paesi verso cui era diretta la maggior parte dei profughi ebrei - modificarono le proprie politiche migratorie per precludere un ulteriore immigrazione ebraica e proteggersi dalla minaccia bolscevica. I pogrom avevano reso gli ebrei "Il principale problema del mondo".
Malgrado tutti gli allarmi che fece scattare all'epoca, lo sterminio di oltre 100.000 ebrei all'indomani della Grande Guerra è oggi in larga parte dimenticato, superato dagli orrori dell'olocausto. I pogrom contribuirono a spiegare in che modo la successiva ondata di violenza antisemita fosse diventata possibile.
L'UCRAINA PERDE QUASI IL 20% DELLA SUA POPOLAZIONE
Mentre gli ultimi giorni della Grande Guerra assistevano al crollo dei potenti imperi multinazionali, emerse La Repubblica Popolare Ucraina, che prometteva un'equa distribuzione della terra e autonomia per le minoranze etniche della Regione, un impegno accolto con giubilo dagli ebrei di tutto il mondo. Ma ben presto la zona rimase coinvolta in un aspro conflitto, spesso chiamato guerra civile, una definizione alquanto semplicistica. Questa guerra combattuta tra il 1918 e il 1921 in Ucraina provocò la morte di circa un milione di persone, a causa della fame, delle malattie e della violenza militare.
Queste vittime si aggiunsero ai 600.000 soldati zaristi uccisi al fronte durante la Grande Guerra e agli altri 2 milioni di soldati civili morti di malattie in tutto l'impero Russo. Tra il 1914 e il 1921, l'Ucraina perse quasi il 20% della sua popolazione totale.
Com'è nella natura delle guerre senza fronti definiti, il nemico - la cui identità poteva cambiare nel giro di una settimana - poteva essere ovunque, spesso si immaginava fosse nelle retrovie, nascosto in mezzo alla popolazione civile. C'era un dilagare di accuse e voci di collaborazionismo, che spingeva gli individui a starsene con i propri simili e a prendersela con coloro che erano percepiti come diversi. Incoraggiate da quotidiani, opuscoli e proclami ufficiali, ampie fette della popolazione accusavano gli ebrei di fare incetta di pane, importare idee o stili, dare conforto al nemico e cospirare contro la nazione.
Nei Pogrom, spesso era proprio la partecipazione di conoscenti stretti, clienti fidati, amici di famiglia ad amareggiare ancora di più le vittime, instillando in esse un senso di impotenza e alienazione, un trauma che durava più a lungo delle ferite fisiche. A conflitto inoltrato, la violenza divenne sempre più organizzata e metodica, attuata da unità militari che agivano su ordine diretto. Questi attacchi ripetuti non avevano alcuno scopo militare ma esprimevano piuttosto la convinzione che la popolazione civile ebraica fosse una minaccia esistenziale al nuovo ordine politico, sociale ed economico. Per le vittime angosciate, le quali avevano sperato che l'esercito le difendesse e ristabilisse la legge e l'ordine, gli attacchi rappresentarono un enorme tradimento.
Siamo a conoscenza dei pogrom grazie agli eroici sforzi di operatori umanitari, avvocati attivisti comunitari. quando si precipitarono a fornire cure mediche, reinsediare profughi, occuparsi dei bisognosi di attribuire alla responsabilità e colpevoli, riconobbero anche le implicazioni storiche della violenza che avveniva attorno a loro. La popolazione ebraica, su invito del Comitato Centrale per gli aiuti alle vittime dei pogrom, presentò decine di migliaia di pagine di testimonianze e denunce nei giorni e negli anni successivi alle violenze. Oltre a fare appello alla buona volontà della gente, il comitato inviò avvocati sui luoghi dei pogrom per raccogliere testimonianze e prove fotografiche e stilare rapporti.
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POGROM DI KISHINEV
durante la settimana Pasquale del 1903, scoppiarono di nuovo tumulti antisemiti, stavolta a Kishinev (l'odierna Chisinau, in Moldavia). Metropoli cosmopolita con oltre 100.000 abitanti, quasi metà dei quali erano ebrei, Kishinev era situata nella provincia russa della Bessarabia, al confine con la Romania.
Il quotidiano locale aveva iniziato a far circolare articoli pretestuosi secondo cui un bambino cristiano trovato morto nella vicina città di Dubosary era stato vittima di un sanguinario rituale ebraico; "l'accusa del sangue", il mito medievale per cui la legge ebraica richiede l'uso di sangue cristiano per scopi rituali, aveva continuato a sopravvivere in Russia anche dopo essere stato sfatato nell'Europa occidentale.
Aizzati dalla campagna d'odio del giornale, centinaia di rivoltosi attaccarono gli abitanti ebrei, prima nella piazza del mercato, poi in giro per la città. Nel giro di due giorni, 49 ebrei furono assassinati e tanti altri aggrediti, rapinati e violentati.
POGROM DI GOMEL A MOGIL
Il risalto dato al pogrom di Kishinev, così come la mancata punizione dei colpevoli da parte del governo zarista, fu probabilmente un fattore chiave in un episodio analogo che avvenne nel settembre 1903 a Gomel, una città mista cristiano-ebraica di 40.000 abitanti nella provincia di Mogilev (nell'odierna Bielorussia). Istigati ancora una volta dalla presunta scomparsa di un bambino, gli abitanti cristiani attaccarono gli ebrei e li accusarono di aver ucciso il bambino per scopi rituali. Stavolta incontrarono resistenza: a seguito del pogrom di Kishinev, giovani sionisti attivisti socialisti ebrei erano giunti alla conclusione che la passività di fronte alla violenza invitasse a ulteriore violenza. Un comitato ebraico di autodifesa sorto a Gomel contrastò gli assalitori; la sommossa si concluse con dieci ebrei e otto cristiani uccisi, oltre che con estesi danni alle proprietà e numerosi feriti.
POGROM DI ODESSA
Il più sanguinoso di questi episodi ebbe luogo a Odessa. Il 18 ottobre, manifestanti patriottici che brandivano icone e ritratti dello zar si scontrarono con un corteo di studenti radicali e il risultato fu un crollo dell'autorità in città. iil giorno seguente, manovalie, portuali e altri dimostranti si riversarono nel malfamato quartiere Moldavanka, incoraggiati dal mancato intervento e perfino dalla partecipazione della polizia locale, distrussero proprietà ebraiche e uccisero circa 800 persone in quattro giorni di tumulti.
Molti erano spinti dal risentimento verso il ruolo di spicco degli ebrei nel commercio del grano o dalle voci di slealtà degli stessi. Milizie di studenti e brigate ebraiche di autodifesa tentarono di respingere rivoltosi, ma furono sopraffatte, e alla fine si rivelarono poco efficaci.
Mentre la Grande Guerra si trascinava e la rivoluzione falliva nell'intento di portare una pace immediata, una massiccia destabilizzazione sociale e un crollo dell'economia si propagarono nelle campagne e nelle città. La guerra aveva dislocato un immenso numero di civili: nell'estate del 1917, in tutto l'impero russo, dai cinque ai sette milioni di profughi, compresi 300.000-500.000 ebrei, avevano bisogno di aiuti. Oltre 10 milioni di uomini prestavano servizio nell'esercito, lasciando le famiglie senza sostegno economico e i campi incolti.
Soldati demoralizzati disertavano le proprie unità, assaltavano gli spacci di alcolici, saccheggiavano cittadine, stupravano donne ed eseguivano requisizioni arbitrarie di grano dai poderi. Gli ordini di sparare seduta stante ai disertori facevano ben poco per reprimere la violenza. Un ex Ufficiale descrisse la situazione nell'autunno del 1917:
I soldati avevano perso ogni parvenza marziale, camminavano impettiti a frotte per la strada e senza tanti complimenti irrompevano nei negozi, si introducevano nelle abitazioni private e derubavano gli abitanti delle loro proprietà. Nelle piazze cittadine erano sorti bazr dove i soldati vendevano il loro bottino per pochi spiccioli.