Non enim suo iudicio stetit, sed suscepit causam, ut esset iudicium senatus; cui nisi ipse auctor fuisset, captivi profecto Poenis redditi essent Ita incolumis in patria Regulus restitisset Quod quia patriae non utile putavit, idcirco sibi honestum et sentire illa et pati credidit Nam quod aiunt, quod valde utile sit, id fieri honestum, immo vero esse, non fieri Est enim nihil utile, quod idem non honestum, nec quia utile, honestum, sed, quia honestum, utile Quare ex multis mirabilibus exemplis haud facile quis dixerit hoc exemplo aut laudabilius aut praestantius 111 Sed ex tota hac laude Reguli unum illud est admiratione dignum, quod captivos retinendos censuit Nam quod rediit, nobis nunc mirabile videtur, illis quidem temporibus aliter facere non potuit |
egli non si accontentò del suo giudizio, ma accettò l'incarico perché fosse il senato a decidere, e se non fosse stato lui a consigliare, certamente i prigio nieri sarebbero stati restituiti ai Cartaginesi In tal caso Regolo restato incolume in patria ma poiché non lo ritenne utile per la patria, proprio per questo giudicò onesto per sé esprimere il proprio parere e patirne le conseguenze Riguardo, poi, all'affermazione che quanto molto utile diviene anche onesto, si dovrebbe dire anzi che lo è, non lo diventa nulla, difatti, è utile se non è onesto, e non è onesto perché utile, ma utile perché onesto Di conseguenza tra molti ammirevoli esempi difficilmente qualcuno potrebbe citarne uno più lodevole ed efficace di questo 111 Ma in tutto questo glorioso comportamento di Regolo un atto è specialmente degno di ammirazione, il fatto che egli propose di trattenere i prigionieri L'esser tornato, difatti, sembra a noi straordinario adesso, ma in quei tempi non avrebbe potuto comportarsi diversamente |
Itaque ista laus non est hominis, sed temporum Nullum enim vinculum ad astringendam fidem iure iurando maiores artius esse voluerunt Id indicant leges in duodecim tabulis, indicant sacratae, indicant foedera, quibus etiam cum hoste devincitur fides, indicant notiones animadversionesque censorum, qui nulla de re diligentius quam de iure iurando iudicabant 112 L Manlio A f, cum dictator fuisset, M Pomponius tr pl diem dixit, quod is paucos sibi dies ad dictaturam gerendam addidisset; criminabatur etiam, quod Titum filium, qui postea est Torquatus appellatus, ab hominibus relegasset et ruri habitare iussisset Quod cum audivisset adulescens filius negotium exhiberi patri, accurisse Romam et cum primo luci Pomponii domum venisse dicitur |
di conseguenza questa è una lode che va rivolta non all'uomo, ma ai tempi i nostri antenati vollero che nessun vincolo fosse più saldo del giuramento per impegnare a rispettare la parola data Lo indicano le leggi delle dodici tavole, le leggi esecratoríe, lo indicano i trattati, con i quali s'impegna la parola anche con i nemici, lo indicano le ammonizioni e i rimproveri dei censori, che non giudicavano con maggiore scrupolo alcuna colpa come quelle riguardanti il giuramento 112 Il tribuno della plebe Marco Pomponio citò in giudizio Lucio Manlio, figlio di Aulo, che era dittatore, perché aveva prolungato di pochi giorni il periodo della sua dittatura; lo si accusava anche di aver allontanato dal consorzio umano ed aver costretto a vivere in campagna il figlio Tito, quello che in seguito fu soprannominato Torquato Quando il giovane figlio apprese che il padre aveva delle noie, si dice che accorresse a Roma e sul far del giorno si recasse in casa di Pomponio |
Cui cum esset nuntiatum, qui illum iratum allaturum ad se aliquid contra patrem arbitraretur, surrexit e lectulo remotisque arbitris ad se adulescentem iussit venire At ille, ut ingressus est, confestim gladium destrinxit iuravitque se illum statim interfecturum, nisi ius iurandum sibi dedisset se patrem missum esse facturum Iuravit hoc terrore coactus Pomponius; rem ad populum detulit, docuit, cur sibi causa desistere necesse esset, Manlium missum fecit Tantum temporibus illis ius iurandum valebat Atque hic T Manlius is est, qui ad Anienem Galli, quem ab eo provocatus occiderat, torque detracto cognomen invenit, cuius tertio consulatu Latini ad Veserim fusi et fugati, magnus vir in primis et qui perindulgens in patrem, idem acerbe severus in filium |
Essendogli stata annunziata la sua visita, Pomponio, pensando che Tito adirato venisse a riferirgli qualche cosa contro il padre, si alzò dal letto e, allontanati i testimoni, ordinò che venisse fatto entrare il giovane Ma questi, appena entrato, sguainò la spada e giurò che lo avrebbe ucciso immediatamente se non gli avesse giurato di liberare da ogni accusa il padre Pomponio giurò, costretto dal terrore; portò la questione dinanzi al popolo, lo informò del motivo che lo costringeva a desistere dall'accusa e lasciò libero Manlio Tanto grande era il valore del giuramento in quei tempi E questo Tito Manlio è lo stesso che prese il cognome dall'aver strappato, nella battaglia dell'Aniene, il monile a un Gallo che l'aveva sfidato; durante il suo terzo consolato i Latini furono sbaragliati e messi in fuga presso Veseri, eroe, tra i più grandi, che, indulgentissimo nei confronti del padre, fu severissimo nei confronti del figlio |
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113 Sed, ut laudandus Regulus in conservando iure iurando, sic decem illi, quos post Cannensem pugnam iuratos ad senatum misit Hannibal, se in castra redituros ea, quorum erant potiti Poeni, nisi de redimendis captivis impetravissent, si non redierunt, vituperandi De quibus non omnes uno modo; nam Polybius, bonus auctor inprimis, ex decem nobilissimis, qui tum erant missi, novem revertisse dicit re a senatu non impertrata; unum ex decem, qui paulo post, quam erat egressus e castris, redisset, quasi aliquid esset oblitus, Romae remansisse; reditu enim in castra liberatum se esse iure iurando interpretabatur, non recte Fraus enim distringit, non dissolvit periurium Fuit igitur stulta calliditas, perverse imitata prudentiam Itaque decrevit senatus, ut ille veterator et callidus, vinctus ad Hannibalem duceretur |
113 Ma, come è degno di lode Regolo per aver rispettato il giuramento, così sono degni di biasimo, se non ritornarono, quei dieci che, dopo la battaglia di Canne, Annibale inviò al senato, dietro giuramento che sarebbero tornati nell'accampamento, di cui s'erano impadroniti i Cartaginesi, se non avessero ottenuto il riscatto dei prigionieri Sul loro comportamento non tutti sono d'accordo; difatti Polibio, storico tra i più autorevoli, dice che dei dieci più nobili allora inviati, ne ritornarono nove per non avere ottenuto il consenso del senato; uno dei dieci, che aveva fatto ritorno negli accampamenti poco dopo esserne uscito, quasi avesse dimenticato qualche cosa, rimase a Roma, perché giudicava, e a torto, d'essersi liberato dal giuramento con quel suo ritorno nell'accampamento La frode, difatti, aggrava e non elimina lo spergiuro Si trattò, dunque, d'una sciocca astuzia, che imitò malamente la prudenza Il senato decise, quindi, che quel furbo imbroglione fosse ricondotto in catene ad Annibale |
114 Sed illud maximum: octo hominum milia tenebat Hannibal, non quos in acie cepisset, aut qui periculo mortis diffugissent, sed qui relicti in castris fuissent a Paulo et a Varrone consulibus Eos senatus non censuit redimendos, cum id parva pecunia fieri posset, ut esset insitum militibus nostris aut vincere aut emori Qua quidem re audita fractum animum Hannibalis scribit idem, quod senatus populusque Romanus rebus afflictis tam excelso animo fuisset Sic honestatis comparatione ea, quae videntur utilia, vincuntur 115 C Acilius autem, qui Graece scripsit historiam, plures ait fuisse, qui in castra revertissent eadem fraude, ut iure iurando liberarentur eosque a censoribus omnibus ignominiis notatos Sit iam huius loci finis |
114 Ma questo è il lato più importante; Annibale teneva prigionieri ottomila uomini, che non erano stati catturati in battaglia né erano fuggiti di fronte al pericolo di morte, ma erano stati lasciati nell'accampamento dai consoli Paolo e Varrone Il senato stabilì che non si doveva pagare il riscatto, benché lo si potesse fare con un'esigua somma di denaro, perché fosse ben radicato nell'animo dei nostri soldati il concetto che bisognava vincere o morire Lo stesso storico scrive che, udito il fatto, l'animo di Annibale ne restò molto turbato, perché il senato e il popolo romano avevano dimostrato una tale grandezza d'animo nelle avversità Così, al paragone con l'onestà, le azioni che sembrano utili finiscono con l'essere superate 115 Gaio Acilio, invece, che scrisse una storia di Roma in greco, dice che furono molti a ritornare negli accampamenti con lo stesso inganno, per esser liberati dal giuramento, e furono bollati dai censori con ogni nota d'infamia Mettiamo fine, oramai, a questo argomento |
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Perspicuum est enim ea, quae timido animo, humili, demisso fractoque fiant, quale fuisset Reguli factum, si aut de captivis quod ipsi opus esse videretur, non quod rei publicae, censuisset aut domi remanere voluisset, non esse utilia, quia sint flagitiosa, foeda, turpia 116 Restat quarta pars, quae decore, moderatione, modestia, continentia, temperantia continetur Potest igitur quicquam utile esse, quod sit huic talium virtutum choro contrarium Atqui ab Aristippo Cyrenaici atque Annicerii philosophi nominati omne bonum in voluptate posuerunt virtutemque censuerunt ob eam rem esse laudandam, quod efficiens esset voluptatis Quibus obsoletis floret Epicurus, eiusdem fere adiutor auctorque sententiae Cum his viris equisque, ut dicitur, si honestatem tueri ac retinere sententia est, decertandum est |
E' chiaro, infatti, che tutto ciò che viene fatto con animo pavido, umile, depresso ed avvilito come sarebbe stata l'azione di Regolo, se avesse proposto, riguardo ai prigionieri, quello che gli sembrava opportuno per sé, non per lo Stato, o avesse voluto restare in patria non è utile, perché è dannoso, disonorevole, ripugnante 116 Resta la quarta parte, che consiste nella convenienza, nella moderazione, nella modestia, nella continenza, nella temperanza Può, dunque, qualche cosa essere utile, che sia contraria a questo coro di virtù Eppure i Cirenaici, seguaci di Aristippo, e quelli che sono chiamati Annicerii, hanno posto ogni bene nel piacere ed hanno ritenuto che la virtù sia degna di lode perché produttrice di piacere passati di moda questi fiorisce Epicuro, sostenitore e fautore quasi della stessa dottrina Con questi filosofi bisogna combattere con guerrieri e cavalli, come si dice, se si vuole mantenere e salvaguardare l'onestà |
117 Nam si non modo utilitas, sed vita omnis beata corporis firma constitutione eiusque constitutionis spe explorata, ut a Metrodoro scriptum est, continetur, certe haec utilitas et quidem summa sic enim censent , cum honestate pugnabit Nam ubi primum prudentiae locus dabitur an ut conquirat undique suavitates Quam miser virtutis famulatus servientis voluptati Quod autem munus prudentiae an legere intellegenter voluptates fac nihil isto esse iucundius, quid cogitari potest turpius Iam, qui dolorem summum malum dicat, apud eum quem habet locum fortitudo, quae est dolorum laborumque contemptio Quamvis enim multis locis dicat Epicurus, sicuti dicit, satis fortiter de dolore, tamen non id spectandum est, quid dicat, sed quid consentaneum sit ei dicere, qui bona voluptate terminaverit, mala dolore |
117 Se, difatti, non solo l'utilità, ma l'intera felicità della vita consiste, come ha scritto Metrodoro, nella salda costituzione fisica e nella certa speranza della sua durata, certamente questa utilità, che è pure la più grande, sarà in conflitto con l'onestà infatti, in primo luogo; quale ruolo si assegnerà alla prudenza Quello, forse, di cercare piaceri in ogni dove Quale infelice schiavitù, quella della virtù assoggettata al piacere E quale sarebbe il compito della prudenza Forse lo scegliere con intelligenza i piaceri Ammetti pure che non esista niente di più piacevole, ma che cosa si può immaginare di più turpe Inoltre, presso chi dice che il dolore è il sommo male, quale posto può tenere la fortezza d'animo, che è spregio dei dolori e delle fatiche Sebbene, difatti, in molti luoghi Epicuro parli, come egli dice, con sufficiente forza d'animo del dolore, non bisogna, tuttavia, considerare quello che dice, ma quello che sarebbe logico dicesse chi ha limitato il bene al piacere e il male al dolore |
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Et si illum audiam de continentia et temperantia, dicit ille quidem multa multis locis, sed aqua haeret, ut aiunt Nam qui potest temperantiam laudare is, qui ponat summum bonum in voluptate Est enim temperantia libidinum inimica, libidines autem consectatrices voluptatis 118 Atque in his tamen tribus generibus quoquo modo possunt, non incallide tergiversantur Prudentiam introducunt scientiam suppeditantem voluptates, depellentem dolores Fortitudinem quoque aliquo modo expediunt, cum tradunt rationem neglegendae mortis, perpetiendi doloris Etiam temperantiam inducunt non facillime illi quidem, sed tamen quoquo modo possunt Dicunt enim voluptatis magnitudinem doloris detractione finiri Iustitia vacillat vel iacet potius omnesque eae virtutes, quae in communitate cernuntur et in societate generis humani |
ad esempio, se volessi ascoltarlo mentre parla della continenza e della temperanza, è vero che ne parla a lungo in molti luoghi, ma l'acqua ristagna come si dice difatti, come potrebbe lodare la temperanza chi ripone il sommo bene nel piacere La temperanza è nemica delle passioni sensuali, mentre esse sono seguaci convinte dei piacere 118 Eppure in questi tre tipi di virtù essi si destreggiano con una certa abilità, in qualunque modo possibile introducono nel loro sistema la prudenza come la scienza che somministra i piaceri e allontana i dolori Concedono un posto in qualche modo anche alla fortezza d'animo, nell'insegnare il mezzo per disprezzare la morte e tollerare il dolore Tirano in ballo anche la temperanza, invero non nel modo più facile, ma tuttavia in qualunque modo possono dicono, infatti, che la grandezza del piacere trova il suo limite nell'assenza del dolore Vacilla o piuttosto è a terra la giustizia, e cosi tutte le virtù che si distinguono nella comunanza e nella società del genere umano |
Neque enim bonitas nec liberalitas nec comitas esse potest, non plus quam amicitia, si haec non per se expetantur, sed ad voluptatem utilitatemve referantur 119 Conferamus igitur in pauca Nam ut utilitatem nullam esse docuimus, quae honestati esset contraria, sic omnem voluptatem dicimus honestati esse contrariam Quo magis reprehendendos Calliphontem et Dinomachum iudico, qui se dirempturos controversiam putaverunt, si cum honestate voluptatem tamquam cum homine pecudem copulavissent Non recipit istam coniunctionem honestas, aspernatur, repellit Nec vero finis bonorum et malorum, qui simplex esse debet, ex dissimillimis rebus misceri et temperari potest Sed de hoc magna enim res est alio loco pluribus; nunc ad propositum |
Non può esistere, difatti, né bontà, né generosità, né affabilità e tanto meno l'amicizia, se esse non sono ricercate di per sé stesse, ma commisurate al piacere e all'utilità 119 Riassumiamo, dunque, in breve Come abbiamo provato che non esiste utilità contraria all'onestà, cosi diciamo che ogni piacere dei sensi è contrario all'onestà Tanto più ritengo che debbano essere biasimati Callifonte e Dinomaco, che credettero di eliminare la controversia, unendo il piacere con l'onestà, il che significa, all'incirca, accoppiare gli animali con l'uomo l'onestà non ammette questo connubio, lo spregia e lo respinge Né, in verità, il fine del bene e del male, che deve essere semplice, può essere costituito dalla mescolanza e dal contemperamento di cose molto dissimili Ma di questo, trattandosi di una questione importante, parleremo a lungo in un'altra occasione; ora torniamo all'assunto |
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120 Quemadmodum igitur, si quando ea, quae videtur utilitas, honestati repugnat, diiudicanda res sit, satis est supra disputatum Sin autem speciem utilitatis etiam voluptas habere dicetur, nulla potest esse ei cum honestate coniunctio Nam, ut tribuamus aliquid voluptati, condimenti fortasse non nihil, utilitatis certe nihil habebit 121 Habes a patre munus, Marce fili, mea quidem sententia magnum, sed perinde erit, ut acceperis Quamquam hi tibi tres libri inter Cratippi commentarios tamquam hospites erunt recipiendi, sed, ut, si ipse venissem Athenas, quod quidem esset factum, nisi me e medio cursu clara voce patria revocasset, aliquando me quoque audires, sic, quoniam his voluminibus ad te profecta vox est mea, tribues iis temporis, quantum poteris, poteris autem quantum voles |
120 In qual modo, dunque, vada risolta la questione nei casi in cui l'utilità apparente è in contrasto con l'onestà, è stato sufficientemente trattato sopra Se, poi, si dirà che anche il piacere ha un'apparenza di utilità, esso non può avere alcun punto di contatto con l'onestà Per concedere, difatti, qualche cosa al piacere, forse esso avrà un qualche carattere di condimento, ma niente di utile 121 Tu ricevi da parte di tuo padre, o figlio Marco, un dono grande, a parer mio, ma il cui valore dipenderà dalla maniera con cui tu l'accetterai E' vero che dovrai accogliere questi tre libri come ospiti tra i trattati di Cratippo; ma, come avresti potuto udire anche me qualche volta, se fossi venuto ad Atene, e l'avrei fatto, se la patria non mi avesse richiamato con chiara voce mentre mi trovavo a metà viaggio, cosi, dal momento che questi volumi ti portano la mia voce, dedicherai ad essi il tempo che potrai, ma ne potrai quanto ne vorrai |