Morelli si sofferma a descrivere la figura emblematica della donna, indagandone la bellezza e la sensualità. L'eleganza e la torbida solitudine, visibile nell'espressione sgomenta del viso. L'attenzione è tutta sul suo corpo e su quel gesto che trattiene la veste strappata a Giuseppe, poi usata come prova per accusarlo ingiustamente di violenza e mandarlo in prigione.
I colori caldi sottolineano le forme prosperose della seduttrice, accesa di sensualità, secondo quello stile che l'artista aveva maturato. La scelta del soggetto qui raffigurato non deve ingannare circa il messaggio reale del dipinto. Nonostante la centralità affidata alla moglie di Potifar, simbolo della cupidigia carnale responsabile della falsa accusa verso il servitore ebreo, nel dipinto si esalta indirettamente l'importanza di Giuseppe, delle sue doti e delle sua capacità di riuscita, perché Dio era sempre con lui.
In questa circostanza egli aveva resistito alla seduzione della donna, dimostrando la sua rettitudine e pur consapevole delle conseguenze, aveva preferito tacere e andare in prigione. Tuttavia anche questa volta Giuseppe avrebbe trovato il modo di riscattarsi e mettersi in luce. In prigione avrebbe incontrato il cocchiere e il panettiere del faraone, caduto in disgrazia, e interpretando i loro sogni premonitori si sarebbe assicurato la fama e la conoscenza diretta del sovrano. Questi, convinto della preveggenza di Giuseppe lo avrebbe posto a capo del paese.
Le scene raffigurate sulla parete di fondo del quadro rappresentano, seppure poco definite nei colori e nelle forme, alcuni momenti salienti della vita quotidiana delle donne nell'Antico Egitto:
- a sinistra l'incontro affettuoso tra gli sposi
- a destra i due protagonisti allietati dalla nascita di un figlio
- al centro una processione di donne con i cesti ricolmi di pane che lega le due scene