"esordì nella mia carriera di giustiziere di sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, avevo ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati. Giunto a Foligno incominciai a conoscere le prime difficoltà del mestiere: non trovai alcuno che volesse vendermi il legname necessario per rizzare la forca e dovetti andar la notte a sfondare la porta ad un magazzino per provvedermelo. Ma non per questo mi scoraggiai e in quattro ore di lavoro assiduo ebbi preparata la brava forca e le quattro scale che mi servivano.
Nicola Gentilucci frattanto, a due ore di notte, dopo avergli rasata la barba e datogli a vestire una candida camicia di bucato e un paio di calzoni nuovi, venne condotto coi polsi stretti da leggere manette, nella gran sala comunale, poiché volevasi dare la massima solennità all'esecuzione, stante la gravità del suo delitto, superiore a qualsiasi altro, trattandosi dell'uccisione di un curato e di due frati.
La compagnia dei Penitenti Bianchi in abito di cerimonia, col cappuccio calato sul volto, schierata In due file, dalla porta all'estremità opposta l'attendeva. In faccia alla porta era stato collocato un grande crocifisso con due confrati ai lati, e una schiera di religiosi, invitati a confortare il paziente. Il bargello e gli sbirri che lo conducevano, giunti alla porta della sala, bussarono e questa venne aperta. Quella scena commosse vivamente il Gentilucci, non di meno entrò. Non appena ebbe fatti pochi passi il palio, aiutante del cancelliere, che ne porta gli emblemi, gli presentò una carta dicendogli: "Nicola Gentilucci, io ti cito a morte per domattina".
Il complimento poco gentile impressionò il condannato per modo che si lasciò sfuggire di mano la carta, e sarebbe caduto egli stesso svenuto, se non lo avesse sorretto il confessore e i confortatori, i quali lo condussero poi in una sala vicina, dove, sdraiato su di un materasso posto per terra, lo lasciarono dormire.
Due ore innanzi lo spuntare del giorno susseguente lo svegliarono per fargli ascoltare la messa: il confessore gli parlò e gli impartì l'assoluzione e l'indulgenza in articulo mortis che il papa soleva concedere in tale circostanze. Confessato e comunicato, i confortatori gli apprestarono l'asciolvere. Gentilucci mangiò, bevve e si trovò alquanto rinfrancato d'animo. Non di meno il confessore lo confortò ancora, assicurandolo che egli stava per avviarsi al cielo. Il condannato avrebbe forse desiderato di differire di un altro mezzo secolo il viaggio, ma assicurato che non avrebbe che differita la sua felicità, si preparò a farlo allegramente.
Mi presentai in quel mentre e togliendomi il cappello ossequiosamente offersi una moneta al Gentilucci, come diritto, perché facesse celebrare una messa per la sua anima. Quindi, ricoperto il capo, gli legai le mani e le braccia in modo che non potesse fare alcun movimento tenendone i capi nelle mie mani per didietro. La confraternita della morte aperse il corteo. I confrati indossavano il loro saio ed avevano il viso coperto. Essi salmodiavano in tetro tono il Miserere. Venivano poi i Penitenti Azzurri, ultimi Penitenti Bianchi ai quali era serbato Il posto d'onore. Cantavano pur essi nel medesimo tono il salmo stesso, seguendo gli uni agli altri, per non interrompersi, di luisa che quando gli uni cantavano gli altri tacevano.
Dopo le confraternite verano i bargelli delle città vicine e gli sbirri in grande uniforme, e a questi teneva dietro il paziente, condotto per capi della fune da me stesso - umile ma pur raggiante in tanta gloria - circondato dai confortatori e dal confessore. Giunto sulla spianata ove doveva aver luogo l'esecuzione, Nicola Gentilucci fu fatto avvicinare ad un piccolo altare eretto di fronte alla forca e quivi recitò un'ultima preghiera. Poi, rialzandosi, lo condussi verso il patibolo a reni volte, perché non lo vedesse e fatto salire su una delle scale, mentre io ascendevo per un'altra vicinissimo. Giunto alla richiesta altezza, passai intorno al collo del paziente due corde, già previamente attaccate alla forca, una più grossa e più lenta, detta la corda di soccorso, la quale doveva servire semmai se avesse a rompere la più piccola, detta mortale, perché è questa che effettivamente strozza il delinquente.
Il confessore e i confortatori intanto saliti sulle due scale laterali, gli prodigavano le loro consonanti parole. Gli altri confortatori in ginocchio recitavano ad alta voce il Pater noster e l'Ave Maria e il Gentilucci rispondeva. Ma appena ebbe pronunziato l'ultimo Amen, con un colpo magistrale lo lanciai nel vuoto e gli saltai sulle spalle, strangolandolo perfettamente e facendo eseguire alla salma del paziente parecchie eleganti piroette. La folla restò ammirata dal contegno severo, coraggioso e forte di Nicola Gentilucci, non meno che della veramente straordinaria destrezza con cui avevo compiuto quella prima esecuzione.
Staccato il cadavere, gli spiccai innanzitutto la testa dal busto e infilzata sulla punta di una lancia la rizzai sulla sommità del patibolo. Quindi con una accetta gli spaccai il petto e l'addome, divisi il corpo di quattro parti, con franchezza e precisione, come avrebbe potuto fare il più esperto macellaio, li appesi in mostra intorno al patibolo, dando prova così di un sangue freddo veramente eccezionale e quale si richiedeva un esecutore, perché le sue ingiustizie riuscissero per davvero esemplari "